Scienza Fede e Dialogo interculturale: una prospettiva islamica

Scienza Fede e Dialogo interculturale: una prospettiva islamica

Permettetemi di iniziare pronunciando la formula tradizionale “In nome di Dio il Clemente il Misericordioso”. Con questa frase, i musulmani iniziano ogni azione rituale della loro religione, così come ogni azione della vita quotidiana, conferendogli in questo modo un valore rituale. Questa formula che apre ogni capitolo del Sacro Corano, il libro sacro dell’Islam, rappresenta una chiave di comprensione del testo sacro. L’intera Rivelazione del Corano proviene da Dio l’Unico, attraverso i Suoi nomi di amore e misericordia. Ogni azione ispirata dal Libro Sacro dovrebbe riflettere questo amore e misericordia divine.

In effetti sembra molto semplice. Sfortunatamente, bisogna ammettere che ciò che avviene oggi è molto lontano da questi princìpi. C’è una divergenza tra i princìpi e la realtà, tra come dovrebbe essere la religione e ciò che di questi princìpi viene applicato dalle persone appartenenti alle diverse religioni, tra il piano dei princìpi spirituali e quello delle vicende storiche. Il mondo islamico sembra partecipare in minima parte alla ricerca del sapere, e sembra essere colpito da ricorrenti disordini sociali e politici. Diversi autori hanno attribuito questi due fatti alla medesima causa: la presunta incapacità della religione islamica di stabilire una sana relazione nella pratica della ragione e di conseguenza di rafforzare comportamenti ragionevoli all’interno delle società a prevalenza islamica.

Questo è il punto che vorrei affrontare, in questa relazione, dalla prospettiva specifica di un musulmano occidentale che si trova ad essere scienziato di professione. E’ possibile essere un musulmano coerente e partecipare in modo costruttivo agli sforzi comuni del nostro mondoe in particolare a quelli in ambito scientifico? Vorrei di seguito sostenere che, nonostante l’ignoranza, l’odio e la violenza esistano sfortunatamente tanto nel mondo islamico quanto altrove,i princìpi spirituali e le risorse intellettuali della fede islamica spingono i musulmani a ricercare la conoscenza, l’amore e la pace.

La mia relazione si divide in tre parti: per prima cosa vorrei iniziare con alcuni princìpi fondamentali della dottrina islamica che sembrano rilevanti per comprendere la natura della conoscenza nella prospettiva islamica. In secondo luogo vorrei brevemente esaminare alcune posizioni storiche e contemporanee sulla relazione tra fede e ragione e tra religione e scienza. In terzo luogo cercherò di illustrare una prospettiva in cui la fede, sebbene non si esprima in modo specifico riguardo al concetto di scienza, offre un ampio background metafisico che mi aiuta, in qualità di scienziato, a trovare un’intenzione e un significato nelle mie scoperte. Infine concluderò tracciando alcune conseguenze (di questo argomento) per il dialogo interreligioso e interculturale. Si evidenzia come questo background metafisico ci possa aiutare a trovare un’intenzione e un significato nella diversità delle fedi, così come ci possa fornire delle linee guida per una coesistenza pacifica in questo mondo.

I princìpi della fede islamica

La difficoltà presunta che l’Islam deve affrontare nella sua relazione con la ragione, è stata recentemente riassunta, con grande talento e impatto, dalla famosa lezione fatta da Papa Benedetto XVI a Ratisbona, il 18 Settembre 2006, alla presenza di un pubblico di “rappresentanti della scienza”- i dettagli hanno la loro importanza per i punti in questione che stiamo affrontando in questa sede. Nel tentativo di proporre una nuova visione dell’Europa secolarizzata, il Santo Padre ha spiegato in che modo consideri il futuro della Cristianità. Secondo lui, non c’è da sorprendersi che la scienza moderna e i comportamenti ragionevoli si siano sviluppati in paesi dove la Cristianità era predominante, a causa del legame tra i due significatidella parola “Logos”: la ragione dei Greci e la Parola di Dio nel Vangelo di Giovanni. Il Papa ha scritto: “credo che qui si possa vedere la profonda armonia tra ciò che è dei Greci nel senso buono della parola e il significato biblico della fede in Dio”. Sta di fatto, che questa lezione ha suscitato reazioni molto forti da parte del mondo islamico, non perché i musulmani dissentano da questa visione di fede e ragione, ma perché l’Islam è stato usato, come argomentazione del Santo Padre, come una sorta di contro-esempio, come una religione in cui l’assenza della ragione e la presenza della violenza siano strettamente intrecciate.

Secondo l’opinione del Papa, “per la dottrina islamica, Dio è assolutamente trascendente. La Sua volontà non ha un legame con alcuna delle nostre categorie, neanche quelle razionali”. Dopo questa lezione di Ratisbona, ci sono stati scambi tra il mondo islamico e la Santa Sede, richieste di scuse da un lato e dichiarazioni di fraintendimento dall’altro lato.

In questa sede vorrei riprendere la questione sollevata dal Santo Padre dal punto in cui l’ha lasciata, e rispondere positivamente al richiamo di un dialogo che era stato colto da entrambe le parti. Mi sembra infatti che molte idee e comportamenti siano condizionati dalla nostra visione metafisica della realtà, sebbene apparentemente neghino qualsiasi riferimento metafisico. Come ha giustamente fatto notare il Papa, la relazione tra fede e ragione deriva dalla concezione che abbiamo di Dio, che è il nome che i credenti danno alla realtà essenziale. Quando il Papa scrive, dopo molti altri autori, “per la dottrina islamica, Dio è assolutamente trascendente”, lui intende ovviamente la frase nel modo seguente:”per i musulmani Dio è solamente trascendente, e così trascendente che la Sua volontà non è riconducibile ad alcuna delle nostre categorie, neanche a quella della razionalità”.

Ma il Dio dell’Islam è diverso dal Dio del Cristianesimo? Non è un’opinione dei musulmani. Per loro, Dio è lo stesso nell’Ebraismo, nel Cristianesimo e nell’Islam. Allah, una parola che etimologicamente significa “Iddio”, non è il nome del Dio dei musulmani che escluderebbe gli altri credenti. E’ il nome arabo del Dio Unico, il Dio di tutta l’umanità, adorato da ebrei, cristiani e musulmani.

Dio è assolutamente trascendente e Lui è anche perfettamente immanente. Ciò significa che Lui non può essere riconducibile a nessuna delle nostre categorie, e simultaneamente, (allo stesso tempo), Lui è vicino a noi, Lui agisce nel mondo, Lui ci conosce e ci ama, Lui Si lascia conoscere e amare da noi. Come dice il Corano:”Non v’ha simile a Lui cosa alcuna, ed Egli è ascoltante veggente”. (Corano 42:11)

La coesistenza di questi due aspetti è necessaria, in una religione monoteistica, al fine di prevenire la nostra idea di Dio dal rischio di trasformarlo in un idolo. Un Dio che sia solo trascendente è un concetto astratto, e un Dio che è solo immanente non è nient’altro che una forma cosmica di energia. Naturalmente, Dio è assolutamente trascendente. Lui è così diverso che può solo essere chiamato Huwa, “Lui”, ed è impossibile riflettere su di Lui l’essenza infinita. Contemporaneamente, la Realtà inconoscibile si svela (rivela), crea il mondo, parla nella storia all’umanità, e ispira la fede e la rettitudine. Perché è così? Non c’è nessun’altra risposta che …amore.

Secondo una tradizione sacra (Parole di Dio trasmesse dal Profeta), Dio dice: “Ero un tesoro nascosto. Ho desiderato essere conosciuto. Così ho creato le creature per essere conosciuto da loro”. E Dio decide di prescrivere a Se stesso l’amore: “Iddio s’è prescritto la misericordia”. (Corano 6:54) Questo amore, o misericordia, rahma, è, secondo una tradizione Profetica, l’origine dell’amore che le madri di tutte le specie viventi nutrono verso i propri figli, poiché la sua etimologia evoca il ventre materno,ar-Rahîm. Dalla Sua Misericordia, Dio, conformemente al Suo nome ar-Rahmân, il Compassionevole, crea il mondo, e, in conformità con il Suo nome ar-Rahîm, il Misericordioso, ha una relazione specifica con ognuna delle Sue creature. A causa della Sua misericordia, Dio sceglie di rivelarsi, o per essere più precisi, sceglie di rivelare a noi le Sue qualità, i Suoi attributi e le Sue azioni. In verità l’immanenza di Dio è possibile perché Dio è così trascendente che la Sua trascendenza è inalterabile dalla Sua presenza nel mondo, vicino a noi. Comunque la raison d’être è un mistero, perché non è fondata sulla necessità che Dio avrebbe di essere conosciuto, ma sul libero desiderio di Dio di essere conosciuto.

Si può facilmente comprendere che la questione dell’intelligibilità delle qualità di Dio,gli attributi e le azioni, e l’estensione del dominio entro cui si può applicare la ragione per comprendere la religione e praticare l’indagine scientifica del mondo, dipende fortemente dall’equilibrio tra trascendenza e immanenza. E’ vero che i poli opposti sono esistiti, ed esistono ancora, nel pensiero islamico, in una direzione e nell’altra. In ogni caso la “corrente principale” sostiene contemporaneamente il mistero fondamentale dell’Essenza di Dio, e l’intelligibilità delle qualità e azioni divine fondate sulla loro similitudine con le qualità e azioni terrene. La modalità di questa intelligibilità proviene principalmente dallo specifico modello del Libro Sacro dell’Islam, il Corano.

Dio rivela Se stesso nel mondo attraverso specifici istanti nei quali l’infinito entra in contatto con il finito, l’eterno con il contingente. Questi istanti danno vita a nuove religioni che nella prospettiva islamica, non sono altro che nuovi adattamenti della medesima Verità universale per nuove genti ( e per le “lingue” di queste genti). L’Islam è la terza rivelazione tra le religioni monoteistiche come conseguenza della promessa fatta ad Abramo da Dio, dopo l’Ebraismo e il Cristianesimo.

Esso porta il rinnovamento di questa fede abramica, attraverso una nuova rivelazione, ovvero un miracolo iniziale che pone le basi di una nuova relazione di una parte del genere umano con Dio. Questo miracolo è la rivelazione di un testo, il Sacro Corano, ad un essere umano, il Profeta Muhammad. Per i musulmani si tratta di un miracolo, perché non solo il significato del Sacro Corano viene da Dio, ma anche la stessa scelta delle parole, frasi e capitoli un una data lingua umana, la lingua araba, in modo che il discorso divino possa essere sentito, pronunciato e capito dall’umanità.

Come messaggero fedele, Muhammad non aggiunse nulla, né omise una singola parola della Sacra Recitazione o Proclamazione (tale il significato della parola Corano) che divenne successivamente un libro, e acquisì il suo aspetto finale circa trent’anni dopo la morte del Profeta. Certamente la lingua araba discese sotto il peso della parola divina e la coerenza interna del Corano può essere trovata solo dopo aver letto e riletto il testo, che fa trasparire la sua luce progressivamente.

Il miracolo della discesa del Corano riproduce il miracolo della creazione. Dio crea le cose attraverso le Sue parole, con il Suo ordine: “Sii! (kun)” . Le creature ricevono la loro esistenza da Dio attraverso questo ordine. Successivamente Dio svela la conoscenza nascosta, sempre attraverso le Sue parole, con un altro dei Suoi ordini: “Leggi! (iqra’)”, la prima parola del Corano rivelata al Profeta Muhammad.

Questo insegnamento parla al lettore, all’essere umano che usa la sua intelligenza per capire il Testo Sacro. Di conseguenza, il Corano è come una seconda creazione, un libro dove Dio mostra i Suoi segni o versi (âyât), allo stesso modo in cui noi contempliamo i segni di Dio (âyât) nelle entità e fenomeni della prima creazione.

Dio svelò di molto il Libro delle Religioni (kitâb at-tadwîn) nel momento in cui creò il Libro dell’Esistenza (kitâb at-takwîn). Il problema della relazione tra fede e scienza è particolarmente legata alla coesione tra il primo e il secondo libro. Questo tema delle Liber Scripturae e del Liber Mundi è espresso in termini simili in altre fedi.

Conformemente al costante insegnamento della tradizione islamica e a causa dello specifico statuto del Testo Sacro dell’Islam come asse fondamentale della rivelazione, la fede è intimamente legata alla conoscenza. Un famoso passo coranico prescrive: “Venera il tuo Signore fino alla certezza” (Corano 15:99) e molti detti profetici raccomandano fortemente la ricerca della conoscenza come un dovere religioso “obbligatorio per ogni musulmano”. Tutte le sorti di conoscenza che possono essere in qualche modo legate a Dio e che aiutano la vita religiosa e terrena della società, sono buone e devono essere ricercate. Chiaramente, quando il Profeta raccomandava che i suoi compagni avrebbero dovuto cercare la conoscenza fino in Cina, non si riferiva principalmente alla conoscenza religiosa. Di conseguenza, la conoscenza può essere religiosa, ma anche razionale e/o spirituale.

Un aspetto specifico dell’Islam, che è presente anche nell’Ebraismo, è il fatto che la pratica religiosa prende la forma di una legge religiosa, la sharî’a. Questa parola è usata prima di tutto per il messaggio spirituale ed etico portato avanti dalla rivelazione. Ci sono solo pochi versetti coranici che hanno realmente a che fare con la condotta sociale e con aspetti legali, ma ai tempi della prima comunità islamica, la presenza del Profeta permetteva di risolvere tutte le questioni.

Più tardi, quando l’Islam diventò la religione di un vasto impero, divenne necessario avere una codificazione più completa della legge religiosa, e la cosiddetta sharî’a fu costituita velocemente. Articolando il testo con principi razionali al fine di garantire una coerenza globale, i discepoli produssero un corpo sofisticato. Il nucleo della sharî’a include la pratica rituale del culto (la professione di fede, la preghiera, l’elemosina rituale, il digiuno e il pellegrinaggio).

La sharî’a classica racchiude inoltre prescrizioni riguardo molti aspetti della vita sociale che erano rilevanti per le società tradizionali. I musulmani dovrebbero riesaminare questi aspetti per le società che sono molto più complesse, in un mondo che è caratterizzato dalla scienza e dalla tecnologia, globalizzazione, scambi di popoli e informazioni, e dalla presenza di molte minoranze. Si tratta di una grande sfida, e sarebbe necessario un forte “sforzo di interpretazione” o ijtihâd. Sfortunatamente questa riflessione è contaminata da considerazioni ideologiche, nel contesto delle tensioni politiche e sociali. Non c’è consenso nel mondo islamico sulla modalità di arrivare a questa nuova formulazione della sharî’a, e nemmeno sulla sua reale necessità.

In ogni caso, la rivelazione non include tutti gli aspetti nella conoscenza. Per esempio, esiste una storia ben conosciuta sulla indipendenza delle leggi della natura rispetto all’insegnamento religioso. I coltivatori che coltivavano palme da datteri chiesero al Profeta se fosse necessario innestare queste palme. Il Profeta rispose “no” e essi seguirono il suo consiglio. Ma poi si lamentarono del fatto che le piante davano un cattivo raccolto. Il Profeta rispose che era solo un uomo come loro.

Egli disse: “ Voi siete molto più competenti di me per quanto riguarda i migliori interessi di questo mondo” E’ una storia molto importante. C’è un campo dove la religione non ha semplicemente niente da dire, un campo che è neutro rispetto agli insegnamenti sulla ritualità o sulla legge della rivelazione. Tuttavia, ciò non significa che questo campo sia neutro rispetto alla via spirituale. Perché l’Islam non separa gli aspetti intellettuali della vita dai rapporti etici, l’unica conoscenza che deve essere evitata è la conoscenza inutile, che chiude gli occhi ai tesori della propria vocazione spirituale.

Per riassumere, la discesa del Corano, nel quale Dio vela e svela la Sua trascendenza e immanenza, fornisce ai musulmani una via per celebrare il mistero di Dio e di avvicinarsi alla Sua intelligibilità. Questa intelligibilità richiede l’uso della ragione incapsulata in una vasta prospettiva di conoscenza. Attraverso le Sue spiegazioni e promesse, Dio sceglie di essere in parte legato alle categorie della ragione, fuori dalla Sua misericordia e amore per il mondo. Ma la ragione di per sé è incapace di cogliere tutta la Verità., perché la ragione non è solo concettuale. Essa coinvolge tutto l’essere. Nella prospettiva islamica, l’intelletto include precisamente la ragione e la lucidità di capire dove la ragione cessa di essere efficiente in questa ricerca. Il problema dell’esatta estensione del dominio della ragione è stato dibattuto e vorrei ora illustrare il tipo di dibattito che ha avuto luogo nel pensiero islamico.

Prospettive Islamiche su fede e ragione

Il grande pensatore al-Ghazali, conosciuto in occidente come Algazel, esamina la relazione tra scienza e filosofia da un lato e religione dall’altro. Come tutti i suoi predecessori, credeva fortemente che esiste una sola verità e che la ragione ben guidata non può essere in contraddizione con le indicazioni letterarie date dal Corano.

Tuttavia, al-Ghazali scrive (Nella sua autobiografia “al-Munqidh min al-Dalal”) che c’è un “doppio rischio” nella pratica della scienza. Da un lato perché questi scienziati hanno troppa fiducia in loro stessi e si avventurano spesso oltre il campo legittimo che riguarda la ragione, ed esprimono affermazioni metafisiche o teologiche su Dio e su questioni religiose che possono entrare in contraddizione con le indicazioni testuali.

D’altra parte, i semplici credenti, considerati gli eccessi di questi scienziati, sono portati a rifiutare tutte le scienze in maniera indiscriminata. Al-Ghazali condannò “coloro che credono di difendere l’Islam rifiutando le scienze filosofiche” e “in verità gli causano maggiori danni”. Ora, stabilito che c’è una sola verità, come comportarsi con le possibili contraddizioni tra scienza e versetti coranici? La situazione è chiara: se la scienza contraddice apparentemente le indicazioni testuali, la colpa è degli scienziati che hanno sicuramente commesso errori nel lavoro scientifico, nel momento in cui sono giunti a conclusioni che sono in contraddizione con la verità rivelata.

Circa un secolo più tardi, Ibn Rushd, conosciuto in occidente come Averroè, esamina nuovamente i problemi affrontati da al-Ghazali. Ibn Rushd era un giurista e il suo testo infatti è una sentenza giuridica (fatwâ) per stabilire “se lo studio della filosofia e della Logica è permesso dalla legge rivelata, o condannato da essa, o prescritta o come consigliata o come obbligatoria. (In “Kitâb fasli-l-Maqâl”) Per Ibn Rushd questo studio è obbligatorio.

Ora, egli scrive, “siccome il Corano è vero e spinge all’esercizio dell’esame razionale (nazhar) il quale guida alla conoscenza della verità, noi Musulmani sappiamo con certezza che l’esame razionale non sarà mai in contraddizione con l’insegnamento del testo rivelato: perché la verità non può contraddire la verità, ma concorda con essa e la supporta”. Di conseguenza, Ibn Rushd spiega che se il risultato dell’esame razionale contraddice le indicazioni testuali, questa contraddizione è solo apparente e il testo deve essere sottoposto all’interpretazione allegorica (ta’wîl). Altrimenti, egli dice, “ finiremmo per far dire a Dio cose che sono chiaramente false.

Per Al-Ghazali come anche per Ibn Rushd, la ragione è un dono di Dio per l’essere umano e Dio garantisce la sua efficienza. Per loro c’è solo una verità e non è possibile affermare che, da un punto di vista religioso, si creda in una cosa e, da un punto di vista razionale, si creda nel contrario.

Essi differivano solo su quale dei due punti di vista dovesse essere predominante. Naturalmente Ibn Rushd aveva un punto di vista che sembra abbastanza ovvio per l’essere umano del XXIesimo secolo. Ma ricordiamo anche al – Ghazali e la sua critica all’eccesso degli scienziati che estrapolavano le loro teorie dal loro dominio di validità e pretendevano di avere l’ultima parola sulla natura della realtà.

Per dirla in breve, nel mondo Islamico si riscontra oggi un grande interesse per la scienza, ma anche parecchia discordanza su ciò che la scienza sia – o debba essere – per poter essere pienamente incorporata nelle società islamiche divenendo “Islamica” (Vedi ad esempio “Islam, Contemporary Issues in Science and Religion” (“Islam, Argomenti attuali nella Scienza e nella Religione”), B. Guiderdoni, in Encyclopaedia of Science and Religion, Wentzel van Huyssteen (ed), MacMillan Reference USA, 2003). Per le correnti moderniste, la “scienza Islamica” è soltanto la scienza “universale” praticata da scienziati che incidentalmente capitano essere Musulmani. Per le correnti ricostruzioniste, la “scienza Islamica” dev’essere “ricostruita” a partire dai princìpi islamici, sulla base delle esigenze delle società Islamiche. Per le correnti tradizionali, la “scienza Islamica” è quell’antica scienza simbolica che dev’essere recuperata, in una prospettiva molto più rispettosa della natura e delle finalità spirituali degli scienziati. Le diverse correnti del pensiero islamico contemporaneo mostrano un’intensa attività intorno alla relazione tra scienza e religione. Ognuna di esse deve identificare gli ostacoli e i punti deboli sul proprio cammino. La questione principale è che esse sono concezioni elaborate a priori, come rappresentazioni mentali dell’attività degli scienziati Musulmani, e potrebbero avere poco a che fare con l’effettivo lavoro che avviene nei laboratori. Se dovessi fare dei commenti riguardo a queste correnti, direi che ciascuna di esse coglie, ed enfatizza, una parte della situazione. Sì, è vero che la scienza, nei suoi metodi e nella sua filosofia, è ampiamente universale, e proprietà comune del genere umano. Sì, è vero che, anche se la scienza descrive il cosmo materiale, le questioni del significato e dello scopo ultimo, e l’inserimento dell’obiettivo della ricerca scientifica in una più ampia prospettiva di ricerca della verità, devono essere considerati da quegli scienziati che siano anche dei credenti.

La prospettiva islamica incoraggia la pratica della ragione come facoltà donata da Dio. Tuttavia, la ragione non può risolvere tutte le questioni, e ciò che si può comprendere è molto di più di quanto si possa immaginare. Quella che si propone è una più ampia intelligibilità nella quale la lucidità di identificare i limiti della ragione è essa stessa vista come una conoscenza. Come disse un giorno Abu Bakr, il primo khalifah dell’Islam, “L’impossibilità di raggiungere la conoscenza è essa stessa una conoscenza”.

Di fatto, la maggior parte dei dibattiti su questi argomenti spesso dimentica un fondamentale punto d’ inizio, vale a dire la natura della conoscenza portata dalla Rivelazione Coranica. Come viene spiegato già nei primissimi versetti discesi nel cuore del Profeta Muhammad, Dio parla all’Uomo per insegnargli ciò che non sa: “Leggi, e il tuo Signore è il più Generoso, Colui che ha insegnato con il Calamo, ha insegnato all’uomo ciò che non sapeva” (Sacro Corano, XCVI:1-4). Gli insegnamenti del Corano consistono nell’evidenziare la vocazione spirituale dell’essere umano, lo scopo della creazione, ed i misteri del mondo a venire. Essi parlano prevalentemente di come comportarsi per agire rettamente, esortando alla speranza nella salvezza.

Questi insegnamenti sono proposti tramite i veli di allegorie, miti e simboli. Il Profeta stesso menzionava la molteplicità dei significati del Corano affermando che “ogni versetto contiene un significato esteriore ed un significato interiore, un significato di legge sacra ed un supporto di elevazione”, vale a dire, una diretta influenza spirituale sul lettore. Abbiamo già visto che dobbiamo accettare l’interpretazione allegorica poiché la scienza ci ha fornito una maggiore conoscenza del mondo. L’interpretazione allegorica ci aiuta a purificare le nostre idee circa il modo in cui Dio opera nella creazione. Tuttavia, i miti e i simboli nei testi sacri non sono semplici allegorie. Il linguaggio del muthos veicola significati che non potrebbero essere espressi in altro modo, cioè nel linguaggio del logos, il linguaggio della dimostrazione chiara e articolata. I miti e i simboli sono soltanto come dita che indicano delle realtà le quali sarebbero altrimenti al di là della portata della nostra attenzione. Essi richiedono semplicemente, per il significato a cui alludono, una conoscenza che si ottiene attraverso un’intuizione che sia in relazione e risonanza con la contemplazione dei simboli. In un certo senso, tutte le azioni rituali sono come “simboli” portatori di un’influenza spirituale. I miti e i simboli operano nella nostra interiorità, ci sollevano al di sopra della nostra limitata capacità di comprensione, e ci aprono ad un livello di intelligibilità che va oltre la pratica del pensiero razionale o “algoritmico”. Con questa prospettiva, è possibile evitare una lettura letteralistica del testo, e concentrarsi sulle realtà spirituali.

La fede come guida per definire gli scopi

Permettetemi ora di proporre una visione di come l’articolazione tra la scienza moderna e la religione possa essere indirizzata nella tradizione Islamica. Vorrei suggerire che il corpus teologico e metafisico del pensiero islamico è sufficientemente ricco da aiutare gli scienziati musulmani a trovare un significato nel mondo come esso è descritto dall’indagine scientifica contemporanea. Darò soltanto quattro esempi sul come questa convergenza può realizzarsi.

(1) L’intelligibilità del mondo

Il mistero fondamentale che sottende alla fisica e alla cosmologia è il fatto che il mondo sia intelligibile. Per la Tradizione Islamica, questa intelligibilità fa parte del piano divino nel mondo, dal momento che Dio, che conosce ogni cosa, ha creato tanto il mondo quanto l’uomo dalla Sua Intelligenza. Poi Egli ha posto l’intelligenza nell’essere umano. Attraverso la contemplazione del cosmo, la nostra intelligenza incontra costantemente la Sua intelligenza. Il fatto che Dio sia Uno, permette l’unità tra l’uomo e il cosmo, e l’adeguatezza della nostra intelligenza a comprendere almeno una parte del mondo. Il senso di timore che viene dalla contemplazione del mondo è causato dalla sua bellezza e maestà che riflettono la Bellezza e la Maestà divine.

(2) L’azione di Dio nella creazione

Come opera Dio nella Sua Creazione? Secondo la teologia islamica dominante, Dio non agisce fissando le leggi della fisica e le condizioni iniziali, lasciando poi il mondo ad evolvere meccanicisticamente. Dio, in quanto “Causa Prima”, non cessa di rinnovare la creazione del mondo istante dopo istante. In questo continuo rinnovamento della creazione (tajdîd al-khalq), la materia e i suoi accidenti è nuovamente ricreata in ogni istante. Le regolarità che si possono osservare nel mondo non sono dovute a una connessione causale, ma piuttosto ad una costante congiunzione tra i fenomeni, secondo modi e consuetudini stabiliti dalla Volontà Divina. Il Sacro Corano dice: “Non si troverà nessun cambiamento nella consuetudine di Dio”. Per questo “Non vi è cambiamento nella Creazione di Dio”. Chiaramente questo non significa che la Creazione sia immutabile, poiché in parecchi versetti il Sacro Corano enfatizza i cambiamenti che vediamo nei cieli e sulla terra. Questi versetti significano che c’è una “stabilità” nelle “regole” della Creazione, che riflette l’immutabilità di Dio. Inoltre, queste regolarità che sono conseguenza della Volontà di Dio possono essere qualificate come “regolarità matematiche”. Numerosi versetti guidano l’attenzione del lettore verso l’ordine numerico presente nel cosmo: “Il Sole e la Luna [sono disposti] ciascuno secondo un calcolo esatto (husbân).” (Sacro Corano, LV:5)

In ogni caso, la critica metafisica della causalità da parte dell’Islam non ha impedito lo sviluppo della scienza Islamica in diverse epoche. Al contrario, la critica alla concezione aristotelica delle cause come mere condizioni affinchè si producano necessariamente ed immediatamente gli effetti, ha aperto la via ad un più profondo esame del mondo per determinare quale fosse effettivamente la “consuetudine” o il “modo” proposto da Dio. Il ragionamento deduttivo che va dalle cause agli effetti non può essere usato a priori nel regno della natura. Bisogna piuttosto osservare cosa effettivamente succede. Lo sviluppo della scienza nell’Islam durante il grande periodo classico era strettamente connessa alla volontà di prendere in considerazione i fenomeni.

(3) Dio loda e ama la diversità

Un elemento fondamentale della dottrina Islamica è il fatto che Dio loda ed ama la diversità: “Tra i suoi segni: la creazione dei Cieli e della Terra, e la varietà dei vostri linguaggi e dei vostri colori” (Sacro Corano XXX:20-22)

Di fatto, Dio non cessa mai di creare, in virtù del Suo amore. Questo amore divino raggiunge la diversità delle creature, dei fenomeni fisici, di piante ed animali, così come la diversità umana dei tipi etnici, dei linguaggi e delle culture, e si estende alla diversità di religioni, stando al famoso versetto: “E se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una comunità unica; ma ciò non ha fatto, per provarvi attraverso ciò che vi ha dato. Gareggiate dunque nelle opere buone. Voi tutti ritornerete a Lui e allora Egli vi informerà su ciò su cui ora differite” (Sacro Corano V:48)

(4) La scienza non può essere separata dall’etica

Secondo la dottrina islamica, l'essere umano è stato creato dalla creta e dallo spirito di Dio, per divenire il “vicario di Dio di sulla terra”. L'essere umano è l'unica creatura che è capace di conoscere Dio attraverso tutti i Suoi nomi ed attributi, ed è posto sulla terra come un custode nel giardino. La nostra relazione con le altre creature viventi sulla terra non è dal livello superiore al più basso, con la conseguente possibilità di sfruttare tutti gli "esseri inferiori" ma piuttosto dal centro alla periferia. La posizione "centrale" del custode del giardino sulla terra è la posizione del guardiano che si prende cura allo stesso modo di tutti gli abitanti del giardino. Questo implica un senso della responsabilità per tutta la creazione che dovrebbe condurre all'umiltà, non all’arroganza. Di conseguenza, possiamo mangiare i frutti del giardino, ma non abbiamo nessuno diritto di sradicare gli alberi che non ci appartengono. Il potere che ci ha dato la scienza deve essere accompagnato da un maggior senso etico necessario per utilizzare questo potere con discriminazione ed intelligenza. In poche parole, non dobbiamo fare tutto quello che possiamo fare, molto più che Adamo cui non era permesso toccare un specifico albero nel giardino. Questa proibizione ci rende liberi, perché la libertà richiede la possibilità di una scelta. Questo simbolo del custode nel giardino ha oggi una forte eco, con gli attuali dibattiti su come affrontare il riscaldamento globale, la condivisione delle risorse naturali in modo sostenibile, o la conservazione della biodiversità.

Cercando la Verità

Il genere umano sta affrontando delle sfide drammatiche in questo 21° secolo. Come possono culture diverse convivere pacificamente sul nostro fragile pianeta, ed usare le sue risorse limitate senza sfruttarlo? Il dibattito tra scienza e religione cosa ha che fare con questo? Ai miei occhi, è attinente per almeno due ragioni. La prima, perché dovremmo cambiare le nostre abitudini quotidiane, e prendere difficili decisioni su come utilizziamo la natura. Un ricollegamento tra conoscenza e morale è inevitabile in questa prospettiva. La seconda, perché ogni religione e cultura dovrà determinare la sua relazione con le altre. Penso che l'idea che Dio scrisse due libri, il Libro della Creazione ed il Libro di Sacre Scritture, e che questi libri sono fondamentalmente in accordo malgrado le apparenti discrepanze, può prepararci all'idea che Dio ha scritto, o rivelato, "molti Libri di Sacre Scritture" anch’essi fondamentalmente in accordo malgrado le apparenti discrepanze.

Speriamo che il genere umano trovi un paradigma per la sua diversità, all'interno di un forte senso della sua unità. Sfortunatamente nel nostro mondo operano anche le forze dell'oscurità e dell'ignoranza. Invece della diversità vediamo la frammentazione. Invece dell’unità vediamo l'uniformità. I credenti hanno la loro parte di responsabilità in questa tragedia, perché non promuovono un autentico senso di vera religiosità. Dobbiamo forse ricordare che anche se c'è una sola e unica Verità definitiva, la sua espressione può non essere accessibile. Forse dovremmo intendere la vera religiosità come la capacità di una religione a fare camminare i suoi fedeli sul sentiero, ed elevarli a una maggior conoscenza ed amore. Religioni che dicono cose differenti possono essere ugualmente vere poiché conducono i loro fedeli alla stessa meta finale, la Verità assoluta, che non ci appartiene perché è uno di più bei nomi divini. Per quanto ci interessi la soluzione delle discrepanze tra le religioni, noi dobbiamo vivere con una tensione creativa, lodando Dio per la meravigliosa diversità che Lui creò e rivelò.

In conclusione, permettetemi di rivolgere questa questione della verità ultima, raccontandovi una breve storia che illustra il mistero della condizione umana. Dobbiamo ritornare al passato, e guardare di nuovo ad Ibn Rushd. Circa neil 1180, Ibn Rushd fu informato, che a un giovane di circa 15 anni, chiamato Muhyî-d-dîn Ibn 'Arabî, furono concesse durante i suoi ritiri delle aperture spirituali. Ibn Rush che era il più grande filosofo del suo tempo invitò questo ragazzino ad incontrarlo. Ibn 'Arabi che fu considerato il più Grande Maestro del misticismo islamico scrisse in seguito di questo incontro nell'introduzione del suo libro più importante, Le Aperture della Mecca, un trattato di 4000 pagine che svela il contenuto delle sue intuizioni spirituali. Ma lasciamo parlare Ibn 'Arabi. "Quando entrai da [Ibn Rushd], lui si alzò amorevole e rispettoso. Mi abbracciò e disse, "Sì". Io dissi, "Sì." La sua gioia crebbe perché io l'avevo compreso. Poi mi resi conto perché lui si era rallegrato, così dissi, "No". “La sua gioia scomparve ed il suo colore cambiò, e dubitò di quello che lui possedeva in lui.” Ibn Arabi ci dà la chiave di questi strani scambi dove le risposte arrivano prima delle domande. Ibn Rushd rivolge il tema centrale della nostra conferenza di quest’oggi: "Come trovasti la circostanza nello svelamento e l’effusione divina? È che considerazione razionale ci dà? " Ibn 'Arabi rispose, "Sì no. Tra il sì ed il no gli spiriti volano via dalla materia e le teste dai loro corpi." Ibn 'Arabi ci riporta della reazione di Ibn Rushd a queste parole: “Impallidì e cominciò a tremare. Si sedette recitando, 'Non c’è potere e forza se non in Dio, poichè ha capito la mia allusione."

Questa storia è profonda. Non è sorprendente che la prima risposta sia "sì"? La ragione può andare molto lontano per catturare la realtà. Comunque, non dovremmo rallegrarcene troppo, perché la ragione non può spiegare il mistero fondamentale delle nostre vite. Noi dobbiamo vivere col "sì no", senza neanche un "e" tra il sì ed il no ad ammorbidire l'articolazione. E’ un dato di fatto che Ibn 'Arabi alluse all’escatologia, richiamando che nessuno è mai stato intimamente cambiato dalla conoscenza scientifica. Conoscendo il teorema di Gödel, la fisica dei quanti, o lo Standard del Big Bang cambia la nostra visione del mondo, e forse il modo in cui le nostre menti funzionano, ma non cambiano i nostri cuori. Certamente, queste scoperte sono delle pietre miliari fondamentali nella storia intellettuale. Possono produrre dei sentimenti forti in coloro che dedicano le loro vite a tali studi. Ma la rivelazione parla ad un altro grado, o intensità, di Verità che cambiano il nostro molto essere, ci fa rendono migliori, e preparano al mistero della vita eterna. L'insegnamento delle religioni è che noi dovremo lasciare questo mondo ed entrare in un altro livello dell’essere per intraprendere la nostra ricerca della conoscenza in una luogo più vasto, più adatto del nostro ristretto mondo fisico, alla contemplazione di Dio. La nostra ragione fallisce nel concepire come ciò sia possibile. È una questione di fede nelle promesse delle nostri Sacre Scritture. In quel momento, è meglio smettere di parlare, perché, come il poeta mistico Jalal-ad-Din Rumi diceva, "la penna, quando arriva a questo punto, proprio si spezza."