Islam e transumanesimo

Islam e transumanesimo

Parlando di transumanesimo, non può non venire in mente che la prima attestazione del verbo “trasumanar” si ha nel Paradiso di Dante. Si tratta di un neologismo, un termine che il poeta usa per la prima volta, per una sola volta, per sottolineare la straordinarietà della condizione del pellegrino che ha la possibilità di salire in cielo. Siamo nel primo Canto al verso numero 70 e, per evidenziare che l’ascesa in cielo è ancor più straordinaria della descensio ad inferos e del passaggio al Purgatorio, Dante utilizza questo termine dalla grande pregnanza:

Trasumanar significar per verba

Non si poria; però l’essemplo basti

A cui esperienza grazia serba

Lo stato di colui che è asceso in cielo, di colui che è “trasumanato”, è inesprimibile a parole e si può forse comprendere appellandosi all’esempio di coloro che in precedenza, per Grazia di Dio, hanno realizzato questo stato. Come se non bastasse, nelle terzine successive, Dante spiega che sono l’Amore e la Grazia di Dio a rendere possibile il suo accesso al Paradiso senza il corpo (S'i' era sol di me quel che creasti/novellamente, amor che 'l ciel governi,/tu 'l sai, che col tuo lume mi levasti). Nella prospettiva metafisica di Dante la possibilità di superamento delle possibilità umane su un piano più elevato esiste, ma non è frutto del genio e dell’estro umani, ma della Misericordia e della Grazia di Dio.

Il transumanesimo

Da tutt’altro animus è mosso quello che oggi si chiama transumanesimo, inteso come il superamento delle possibilità umane attraverso il miglioramento prodotto da farmaci e biotecnologie applicate al di fuori di un contesto terapeutico. Il transumanesimo vorrebbe combinare tecnologie e scienze mediche per inseguire una prometeica scintilla di pseudo-immortalità.

L’ideologia transumanista si presenta allora come una visione allargata di quella evoluzionista, in quanto pretende includere nell’evoluzione anche il binomio uomo-macchina. Così facendo, però, degrada il punto di vista proprio all’essere umano verso una spersonalizzazione disumana. Anche i contemplativi di tutte le tradizioni si pongono talvolta dal punto di vista divino, relativizzando le contingenze umane per cogliere in esse finalità superiori, ma questa modalità non tradisce per nulla l’essenza dell’uomo, anzi permette di realizzarla pienamente. In questo caso, invece, si considera l’uomo solo come una tappa transitoria nello sviluppo indefinito della macchina.

Questa ideologia pretende che l’uomo “vecchio” venga superato da “una nuova specie”, per la prima volta nella storia secondo una "evoluzione autodiretta" dall’uomo. Uno dei mezzi per l’avverarsi di questo evento, secondo i transumanisti, sarebbe lo sviluppo delle intelligenze artificiali a tal punto che i computer inizieranno a produrre modelli sempre più avanzati di se stessi, provocando un’accelerazione improvvisa e indefinita che porrebbe fine all’umanità presente, sostituita in tutto dalle macchine.

Eppure quella transumanista non è affatto un’“evidenza”, qualcosa che si giustificherebbe da sé come preferibile, bensì è una vera ideologia che concepisce come principio cardine su cui costruire la sua impalcatura teorica qualcosa di preso come un dato di fatto compiuto, non criticabile, ovvero l’idea di uomo come somma giustapposta di “hardware” e “software”, un dualismo di corpo e anima di cartesiana memoria. Non a caso i più grandi investimenti nel transumanesimo (come la società Neuralink, finanziata da Google) si basano proprio sui progetti di “mind-uploading”, ovvero di connessione tra cervello umano e computer. Appare evidente come, oltre ad aver del tutto dimenticato lo spirito - e avendo così messo da parte le antropologie sacre che le religioni da Oriente ad Occidente hanno sostenuto -, anche l’idea di anima e il suo rapporto con il corpo risulta molto grossolana. Il corpo infatti non è privo né di qualità né di significato, anzi essendo “formato” dall’anima, non è materia grezza, un’accozzaglia casuale, bensì è ciò che si vede dell’anima, è l’espressione transitoria di questa, quasi la sua estroflessione. Il fatto di basare un’intera industria futura e ideologia di “salvezza dell’umanità” su una semplice filosofia materialista dell’uomo dovrebbe come minimo far riflettere sul rischio a cui si può andare in contro, come quando si dà un fucile potente in mano ad un bambino che crede sia un giocattolo.

Volontà di potenza e possibilità umane

Appare evidente che questa forma di superomismo prometeico sia la negazione di ogni prospettiva metafisica: l’uomo non supera se stesso grazie a Dio, ma tramite se stesso, gli strumenti tecnici di cui si è dotato e il loro progresso infinito. Inoltre il superamento delle possibilità umane, invece di avvenire “dantescamente” per altezza, nella direzione della verticalità, nell’avvicinamento a Dio e nella ricerca in interiore homine, per usare un’espressione agostiniana, avviene nell’orizzontalità, nel tentativo di prolungare questa vita, in exteriore. Il superamento non si cerca nella liberazione, ma nella permanenza volitiva in questo mondo.

In generale il transumanesimo è spinto da una volontà di potenza, di onnipotenza, di superamento titanico dei propri limiti spazio-temporali (superamento illusorio perché in realtà si tratta di dilungare tali limiti), di controllo e sottomissione della realtà; e tuttavia nasce da presupposti ideologici quali il riduzionismo della coscienza all’autocoscienza e del pensiero al cervello; la teoria

del progresso e l’evoluzionismo; il rifiuto dell’orizzonte metafisico e la riduzione di “realtà” e “attualità” a immediatezza, fenomenicità, materia. Senza voler entrare nell’analisi di questi presupposti teorici, basta invece far notare che il transumanesimo, invece di sostenere una realizzazione o una “Liberazione”, per dirla alla maniera degli Orientali, finisce per imprigionare in maniera indefinita l’uomo per sempre nella relatività, nel mondo dell’apparenza, nel “samsara”.

La finalità dell’uomo, per le religioni, è di superare l’ambito della morte e della transitorietà verso l’Eternità, e non condannarsi a rimanerne invischiato “ad indefinitum”; non è di passare da una forma all’altra, ma dalla forma al “sovraformale”. Superare nascita e morte, ma verso il “non-nato” che è non-manifestato. Infatti con il transumanesimo, invece di “potenziare” l’uomo con l’artificiale, si finisce per metterlo in catene e questo per misconoscimento della sua realtà spirituale più profonda. Se si riscoprisse tale natura di centralità e intellettualità che l’uomo possiede - che le tradizione biblica indica con l’espressione “fatto a immagine e somiglianza di Dio”, o secondo quella islamica “secondo la Forma del Misericordioso” – allora alcune pretese, all’interno delle quali si collocano le finalità del transumanesimo stesso, verrebbero semplicemente meno, svanirebbero, perché la finalità qui è incommensurabilmente superiore, come incommensurabile è il rapporto tra finito e Infinito.

Il rischio è dunque di diventare complici di pratiche che non migliorano affatto le infinite possibilità dell’essere riconosciute da ogni religione nella ricerca del Bene e della Santità.

A ben vedere anche l’idea di “superamento” delle capacità umane alla base del transumanesimo riprende in modo molto grossolano le filosofie orientali e certo misticismo religioso. Tuttavia, invece di concepire lo sviluppo dell’uomo da un punto di vista spirituale, qui viene inteso solo da un punto di vista materiale, di prolungamento cronologico della vita, di benessere fisico, di aumento quantitativo delle possibilità cognitive e di elaborazione e scambio dati.

Mezzi e fini, tecnologia e virtù

Si tocca in questo modo forse un altro degli aspetti più preoccupanti del transumanesimo, ovvero l’idea di risolvere ogni problema dell’umanità senza alcun accenno ai contenuti della vita, alla qualità dell’esistenza. Si parla di maggiore connessione con la rete internet e il cervello, di guarigione da tutte le malattie fisiche, di potenziamento di tutti gli arti del corpo, di allungamento indefinito della vita. Mai una singola parola su come diventare uomini e donne migliori, onesti, buoni, sinceri, buoni padri e madri, politici, imprenditori, amici etc.. Mai una parola su come tutto questo potenziamento potrà migliorare effettivamente la qualità della vita, dare felicità, sostenere l’uomo a praticare comportamenti più etici e giusti. Se la tecnologia si limitasse a voler proporre dei

mezzi non vi sarebbe questa contraddizione; tuttavia l’ideologia transumanista ha la pretesa di sostituire le religioni, di essere la soluzione di tutto e di dirigere l’umanità come missione. Non a caso è stato definito “nuova religione”, “secondo l’idea che la tecnologia possa sostituire la religione arrivando a trascendere ogni limite terreno. È come se Dio, oggi, fosse stato sostituito dalla tecnologia”1. Tale aspetto dovrebbe far riflettere ancora una volta sui pericoli di avere tra le mani un’auto iperveloce e correre solo per l’ebbrezza di correre, senza un’idea di dove andare ne perché. Il rischio di schiantarsi è molto elevato. Sarebbe interessante studiare come forse il vero impulso primario del transumanesimo non sia quello di risolvere i problemi dell’umanità ma quello di sviluppare nuovi settori per l’industria e di controllo delle masse.

Alla fine, se l’uomo nuovo, la nuova specie evoluta e transumana è in realtà una versione molto riduttiva di uomo-cartesiano, completamente privato della dimensione spirituale e sminuito a mero corpo con un’anima non ben precisata (impulsi elettrici? software?), a dire il vero questa umanità non sembra davvero così “evoluta”!

Infinito, indefinito e limite

Il paradosso è dunque che, partendo dal desiderio di non porre limiti alle possibilità umane e scambiando infinito e indefinito, con la recisione di ogni collegamento con i piani superiori, il transumanesimo pone all’uomo il limite maggiore: la conoscenza di Dio, giacché, “Tutto perisce, tranne il Suo Volto”.

L’Infinito, infatti, per definizione, non può avere limiti, non può avere alcuna restrizione, è incondizionato e indeterminato, non conosce parti o partizioni. L’indefinito, invece, procede dal finito, di cui costituisce un’estensione e non è rapportabile all’Infinito esattamente come l’individualità umana non è rapportabile all’Essere. Scambiando Infinito e indefinito, gli uomini scambiano le «Acque superiori» e le «Acque inferiori»; “invece di elevarsi verso l’Oceano superiore, essi si precipitano negli abissi dell’Oceano inferiore; invece di concentrare tutte le loro potenzialità per dirigerle verso il mondo informale, il quale è il solo che possa dirsi «spirituale», le disperdono nella diversità indefinitamente mutevole e sfuggente delle forme della manifestazione sottile”. Dice il Santo Corano: “Forse colui che crea è uguale a colui che non crea? Non riflettete?”. L’uomo non crea, né tantomeno crea la vita, ma la può gestire in due modi: o in conformità all’ordine universale, che ha la possibilità di indagare e conoscere; oppure può

manipolarla, comprometterla, magari compiendo in apparenza “fenomeni straordinari”, e in previsione distruggerla, volendo sostituirsi a Colui che lo precede.

La coscienza degli esseri viventi è una partecipazione all’unica Coscienza che l’Assoluto ha di Se stesso e con ciò di tutte le indefinite possibilità che racchiude in Sé e a cui Lui solo può insufflare la vita. Le macchine possono solo mimare i segni esteriori della coscienza, come le immagini di un film, ma non possiedono alcuna presenza reale al di fuori di quella di chi vi si relaziona.

Qualunque creatura in quanto tale è sempre “finita”, per questo i contemplativi dell’Islam affermano che per conoscere Allah occorre estinguere l’illusione dell’ego finito, occorre cessare di essere in quanto creatura, così da “ricongiungersi” all’Unica Coscienza increata e infinita.

Che senso ha dunque, ancora una volta, porsi l’ideale di uno sviluppo indefinito nel tempo come Cyborg, quando l’unica vera finalità dovrebbe essere quella di trascendere il tempo?

Scienza e Conoscenza

Da tempo, e sono intellettuali delle più diverse estrazioni a notarlo, la scienza sembra aver rinunciato al suo valore “epistemico” nel senso etimologico, alla sua compiutezza imperforabile, in favore di prospettive probabilistiche e statistiche. E tuttavia è il risvolto tecnico e tecnologico, più che il suo valore teoretico e speculativo, che genera una fede assoluta e indiscutibile. “La tecnologia è buona e non aspetta nessuno”, “il progresso non può essere fermato” ecc.

«La scienza non è più quella del razionalismo dogmatico, in voga da mille anni, che pretende di dedurre tutte le spiegazioni a partire da un piccolo numero di principi intuitivamente veri. Essa è deduttiva e induttiva e si basa sull’andirivieni di teoria ed esperienza. Non esita a rimettersi costantemente in discussione e ad affinare principi e metodi. Il razionalismo è divenuto critico: ha rinunciato alla sua pretesa di dedurre l’insieme delle verità da alcuni principi generali […], esamina costantemente la sua posizione nella storia e i suoi limiti. L’ambizione e i metodi della scienza gli hanno permesso, insieme alla tecnologia, di cui è al tempo stesso padre e figlio, non solo di cambiare la visione del mondo, ma di cambiare proprio il mondo […]. La dottrina islamica della creazione continua (tajdîd al-khalq), in cui Dio è continuamente all’opera, traduce questa incessante esplosione di creatività divina. È tornando a questa grande tradizione che, paradossalmente, l'Islam può integrare gli elementi di una visione contemporanea.

Alla fine di questa panoramica, ci sembra che la questione del rapporto tra scienza e religione, dal punto di vista del pensiero musulmano, sia al tempo stesso semplice e profonda. Semplice, perché la scienza e la religione, ovviamente, hanno diversi magisteri, con obiettivi e metodi propri. Dobbiamo lasciare che la scienza segua il suo particolare approccio alla scoperta. Alla religione spetta il diritto, che condivide con la filosofia, di dare la sua lettura, o le sue letture, della visione del mondo proposta dalla scienza, e di porre in essa la questione del significato. Profonda, perché la scienza, avanzando verso una descrizione della realtà sempre più dettagliata e sempre più fondamentale, incontra sul suo cammino enigmi che, per un uomo di fede, rimandano al mistero del Reale, che è uno nomi di Dio. Vivere con questa tensione verso una conoscenza incessante è probabilmente il cuore dell'esperienza umana».

Nell’Islam la conoscenza si appoggia sulle fonti tradizionali del Corano e della Sunna, il comportamento del Profeta Muhammad, e su un terzo elemento, secondo alcuni maestri musulmani, rappresentato da la adri “non so”. Il fondamento dottrinale unificante di tutta la teologia islamica è costituito daltawhid, il riconoscimento e la realizzazione dell’Unicità di Dio. Grazie a tale visione unitaria della realtà non vi è separazione tra uomo e natura, così come c’è unità, senza confusione, tra fede, ragione e intelletto.

La conoscenza è tutt’altro che l’immagazzinamento teorico di dati, informazioni e nozioni ma presuppone un aspetto operativo di trasformazione alchemica, che non ha nulla di creazionista. Ai nostri giorni si tende a confondere l’operatività con la praticità e l’utilità invertendo la priorità della trasformazione dell’essere con la passività di acquistare qualcosa apparentemente necessario.

Un certo «neospiritualismo è anche in perfetta conformità con le tendenze “sperimentali” della mentalità moderna in quello dei suoi aspetti che abbiamo denominato “pratico”; ed è in virtù di questo aspetto che esso riesce, a poco a poco, ad esercitare un influsso notevole sulla scienza stessa, e a insinuarsi in essa in qualche modo per mezzo di quella che viene chiamata la “metapsichica”».

Tecnologia e miracoli

Tendenzialmente la macchina nasce per sostituirsi alle azioni dell’uomo, non per affinarle. Fino a un certo punto questo è legittimo, ma se ci si riflette attentamente, il servizio della macchina è sempre di tipo pratico e materiale, legato alle contingenze, non di supporto alla contemplazione. Sarebbe da sprovveduti credere che le civiltà tradizionali non avessero sviluppato alcune tecnologie più recenti per mancanza di capacità e intelligenza, quando invece si sono ampiamente servite di

strumenti di ogni genere, non solo materiali. L’utensile, ad esempio, è un vero e proprio prolungamento dell’essere umano, che gli permette di realizzare capolavori, mentre la macchina tende per definizione a sostituirsi all’uomo. È evidente dunque, come le preoccupazioni principali di uomini di altre epoche e altre civiltà gravitassero intorno a ben altri e più profondi interessi. Lo sviluppo di tutte le scienze e le tecnologie durante il Medioevo all’interno del mondo islamico ne è un esempio lampante.

La questione è che da un certo momento l’uomo è stato dimentico della sua natura, della sua costituzione, e poiché ogni azione è frutto della conoscenza che la determina, questa riduzione alla “quantità” ha in realtà ridotto, silenziato, neutralizzato, inibito alcuni aspetti della stessa natura umana. Il bombardamento di qualcosa d’altro ha stimolato passioni o modalità inferiori, producendo un inevitabile squilibrio e disarmonia.

I risultati della tecnologia assumono le sembianze di prodigi, da cui alcuni uomini, come afferma il metafisico francese René Guénon, «ricercano soprattutto i cosiddetti “poteri”, vale a dire, sotto questa o quella forma, la produzione di “fenomeni” più o meno straordinari; altri si sforzano di “centrare” la loro coscienza su certi “prolungamenti” inferiori dell’individualità umana, prendendoli a torto per stati superiori semplicemente perché sfuggono alle limitazioni entro cui si rinchiude abitualmente l’attività dell’uomo “medio”, limitazioni le quali, nello stato che corrisponde al punto di vista profano dell’epoca attuale, sono quelle di quanto si è convenuto di chiamare la “vita ordinaria”, nella quale non interviene alcuna possibilità di carattere extracorporeo»8.

Rilevante è inoltre notare come lo stupore di fronte alle invenzioni pirotecniche della tecnica sia di natura diametralmente opposta rispetto a quello stupore che, secondo Aristotele, sarebbe all’origine dell’amore per la sapienza. Aristotele9 parla infatti di thauma, che in greco indica non solo la meraviglia intesa come stupore, ma anche come timore per il soprannaturale.

Di questa natura è la straordinarietà di fenomeni come i miracoli, per chi si ponga dal punto di vista religioso. Nelle storie di molti santi vi sono miracoli riguardanti la trasformazione del corpo e del creato in virtù di una discesa della Grazia. «L’intera Creazione risponde con possibilità di manifestazione “straordinarie” che hanno una corrispondenza diretta con la natura di purezza e perfezione della presenza dei profeti e dei santi. Potremmo dire in un certo senso che la realtà miracolosa è quella più vera, mentre la maggior parte degli uomini vive in un mondo “materializzato” che viene superato solo dall’irrompere di un evento che, come si potrebbe tradurre dall’arabo mu'jiza, miracolo, è ciò che “interrompe e squarcia l’abitudine”. I miracoli aiutano insomma a far capire che la presenza profetica vivifica la Creazione e permettono di vedere per un istante al di là del velo più superficiale dell’abitudine un grado di realtà più reale e superiore,

riconoscendo così la potenza di Dio e l’incapacità dell’uomo nei confronti dell’azione divina che supera ogni misura umana. Ma se il nostro cuore e il nostro sguardo non coglie l’evento inusuale come un segno di Dio, nulla può essere più inutile di un miracolo».

Ancora una volta ci viene in aiuto Guénon: «Dal punto di vista semplicemente, teologico, di due fatti somiglianti in tutti i punti, l’uno può essere considerato un miracolo, mentre l’altro non lo sarà, e, per discernerli, bisognerà necessariamente ricorrere a segni di un altro ordine; indipendenti dai fatti stessi; potremmo dire, ponendoci naturalmente da un altro punto di vista; che un fatto sarà un miracolo se dovuto all’azione di una influenza spirituale, e non lo sarà se dovuto soltanto ad una influenza psichica. Un tale fatto è illustrato in modo speciale e nettissimo dalla lotta fra Mosé ed i maghi del Faraone, che, per di più, rappresenta anche quella delle potenze rispettive dell’iniziazione e della contro-iniziazione, almeno nella misura e sul terreno dove una tale lotta è effettivamente possibile; è evidente, come abbiamo avuto occasione di spiegarlo altrove, che la contro-iniziazione non può esercitare la sua azione che nel dominio psichico, e tutto ciò che riguarda il dominio spirituale le è, per sua stessa natura, assolutamente proibito»11.

Ciò che sta dietro al transumanesimo è da un lato un riduzionismo che scioglie l’alto nel basso, il superiore nell’inferiore, la realtà nella materialità epidermica, e dall’altro, attraverso la volontà di potenza amplificata dalla capacità tecnologica, ha la pretesa di sostituire le religioni, di essere la soluzione di tutto e la missione per l’umanità futura.

Spirito, anima, corpo

«Gli Occidentali già da molto tempo non sanno più distinguere tra “anima” e “spirito” (e il dualismo cartesiano ha certamente le sue colpe sotto questo riguardo, confondendo come fa in una sola cosa tutto quel che non è corpo, e denominando questa cosa vaga e mal definita con l’uno o l’altro termine indifferentemente); di conseguenza questa confusione si manifesta ad ogni piè sospinto nello stesso linguaggio di tutti i giorni. Il termine “spirito”, attribuito volgarmente ad “entità” psichiche che non hanno certamente niente di “spirituale”, per non parlare di quell’altro errore che fa chiamar “spirito” quel che in realtà non è nient’altro che il “mentale”».

La concezione tripartita di “spirito, anima e corpo” non era propria solo del Cristianesimo in Occidente, ma di tutte le tradizioni millenarie, dall’Induismo all’Islam, dal Taoismo al Buddhismo, ma anche della filosofia greca, neoplatonica e dell’Ebraismo.

Difatti, come abbiamo già detto in un nostro articolo precedente, l’uomo, ultimo essere creato, secondo la tradizione islamica e non solo, è in qualche modo il sigillo della stessa Creazione, per la quale si trova in una posizione centrale. Sebbene inferiore agli angeli quanto alla vicinanza a Dio e alla purezza e costanza dell’adorazione, egli è tuttavia superiore a essi per l’orizzonte conoscitivo di cui Dio l’ha reso capace. Le tradizioni riportano che Dio ha insegnato ad Adam, primo Uomo e Profeta islamico, «i nomi di tutte le cose», e i sapienti vedono in ciò la capacità dell’uomo di conoscere l’essenza di tutte le cose e dunque anche la facoltà di esserne il custode, poiché la capacità di agire dipende strettamente dalla capacità di conoscere.

La funzione dell’uomo, servo di Dio e a Lui sottomesso, è quella di khalîfat Allâh fî-l-ard, come dicono i musulmani, vicario di Dio sulla terra. Questo il senso tradizionale della parola khalîfa, califfo. Nella Rivelazione coranica infatti, Dio mostra gli esseri e le cose quali testimoni allo stesso tempo del miracolo creativo della Sapienza divina, dalla quale essi, come ogni altra cosa, dipendono, e della disponibilità a integrarsi in un ordine spirituale del quale l’uomo costituisce il vertice e il custode.

Si tratta della funzione di mediatore tra il Cielo e la Terra. L’uomo, come testimoniato dalla sua posizione verticale, è naturalmente rivolto verso il Cielo, al quale deve rivolgersi per contemplare le realtà eterne e saperle tradurre nella vita di questo mondo, tramite quell’intelletto universale, superiore alla ragione, lo Spiritus appunto del ternario medievale «corpo, anima e spirito» di cui è composto.

Ogni uomo ha la responsabilità di esercitare conformemente alle sue possibilità questo vicariato divino, questa traduzione consapevole e attiva delle verità celesti nella croce spazio-temporale in cui Dio l’ha posto, non perdendo mai di vista la gerarchia del Cielo rispetto alla terra. Questo per dire che le soluzioni ai problemi attuali, non possono essere intraprese perdendo di vista il fine superiore della vita dell’uomo.

Tale visione unitaria e tripartita, universale e integrale, per millenni ha permesso di fiorire a decine di civiltà e produrre tradizioni di inestimabile valore nelle quali anche la civiltà moderna affonda le proprie radici.

Per fare in modo che queste radici non vengano recise è necessario saper alimentare una cultura della vita, intesa non solo in senso scientifico di “conservazione della specie”, ma anche di sprone verso il Bene.

Conclusioni

In conclusione, tornando al viaggio di Dante, è notevole la distanza tra la prospettiva del poeta, che, pur ascendendo al Paradiso, la regione suprema, ma anche la regione più lontana e inaccessibile, non riesce a esprimere a parole il “trasumanar”, e quella dei moderni transumanisti che, non solo pretendono di realizzarla in questo mondo, ma addirittura con l’utilizzo esclusivo dei propri mezzi. Da un punto di vista religioso e islamico, il transumanesimo manca il proprio obiettivo: invece di sostenere una realizzazione o una “Liberazione”, per dirla alla maniera degli Orientali, finisce per imprigionare in maniera indefinita l’uomo per sempre nella relatività e nel mondo dell’apparenza.

Una tradizione islamica afferma che “il cuore del credente è tra le due dita del Misericordioso”. Tale hadith, detto profetico, suscitò la curiosità dell’imperatore Federico II, che consultò i saggi del suo tempo per scioglierne il significato. Ibn Sab’in, maestro musulmano dell’epoca, gli rispose che “il significato delle dita è che Dio ha la capacità di modificare istantaneamente ogni cosa”. L’uomo è stretto da due tendenze, l’una centrifuga, l’altra centripeta, l’una innalzante, l’altra degradante. Attraverso questi due vettori Dio plasma il cuore dell’uomo ed è solo tramite la Grazia di Dio che l’uomo può essere elevato e dunque “trasumanare”.