Geo-politica e geografia sacra

Geo-politica e geografia sacra

L'uomo di oggi sembra aver perso ogni riferimento sicuro, stabile e duraturo, ogni orientamento che colmi di senso la sua vita. Esso ha rinunciato ad ogni dimensione di permanenza, di eternità, di vera realtà si potrebbe dire (se non si rinunciasse a intendere le parole per il loro vero significato e non si scambiasse "realtà" con "materialità"), e ha fatto finta che tale "emancipazione" dall'eterno fosse una conquista di libertà individuale invece che un'irrimediabile perdita di significato, un affrancamento (aggiungiamo illusorio) dell' "io" da tutto ciò che a lui si oppone, che gli si presenta come un limite imposto alla propria autoaffermazione, fosse anche, in ultima istanza e addirittura oltre il vecchio materialismo, la sua stessa identità/natura personale (la pretesa "morte" di Dio di cui ci si vanterebbe va letta proprio in questo senso, in quanto la Divinità, come fondamento di esistenza e fonte di realtà, è vista dall' io come il limite supremo, come ciò che per antonomasia si oppone alla sua pretesa indipendenza e alla sua delirante ricerca di onnipotenza).

Questa situazione, che proietta l'uomo dinanzi all'abisso del nichilismo e lo condanna allo smarrimento di ogni tradizionale possibilità di beatitudine, è acuita da qualche tempo, e oggi più che mai, dalla spirale degli eventi: guerre continue e sempre più spietate e disumane, crisi sociali ed economiche, rivoluzioni etniche e fenomeni incontrollati e incontrollabili che però sembrano rientrare in un disegno perverso di corruzione dell'uomo e del mondo.

Certo gli uomini e i popoli, nel corso della loro storia, si sono sempre incontrati e anche scontrati, a volte in modo violento e per ragioni ingiuste. Tutto ciò è certamente conseguenza della progressiva decadenza dell'uomo, dimentico delle ragioni spirituali, della sua costituzione ontologica e della sua origine celeste. Se l'uomo ha perso se stesso, ha perso anche la scienza delle sue relazioni, tanto con il mondo, quanto con gli altri uomini. Questa è la "crisi" metafisica che è a fondamento delle conseguenti crisi, siano esse morali, sociali, o perfino ecologiche.

Di certo non è che in passato l'uomo non abbia ciclicamente vissuto e affrontato momenti critici, ma oggi la situazione sembra essere sempre più incerta, provvisoria, instabile: una sensibilità comune e diffusa percepisce con chiarezza l'accelerazione degli eventi e la loro portata globale e sempre più generalizzata, secondo quindi coordinate spaziali e temporali.

Per di più negli ultimi secoli non solo sono cambiate le condizioni generali ed effettive, bensì più di ogni altra cosa, quasi di pari passo con esse, l'uomo ha anche perso la portata della sua visione del mondo e delle dinamiche umane: tutto ciò che accade, veniva e viene considerato in rapporto ad un'ottica sempre più ristretta, sempre meno universale. Si è assistito ad un generale appiattimento e riduzione della ragione delle cose. Si è perso di vista in primis il senso e la ragione metafisica degli eventi e della realtà, ossia il vero piano "causale", la Causa prima, l'ordine di senso ultimo e universale; poi, in progressione, si sono abbandonate le ragioni particolari, i valori etici, le motivazioni morali; infine sono cadute anche le prospettive più individuali, le ideologie politiche, i sistemi filosofici, e ogni cosa è oggi ricondotta ad una logica orizzontale, materiale, di potenza.

La geopolitica è ideologica?

In questo contesto nasce e si muove anche la geopolitica. In se stessa, come disciplina scientifica, seppur variegata e non omogenea nei suoi risultati, è solo una dei tanti modelli interpretativi prodotti dalla cultura moderna per spiegare la realtà. Nacque come disciplina tra le due guerre mondiali, e dopo aver subito un'involuzione verso forme esasperate di determinismo e verso un'opera di legittimazione della politica espansionista del nazional-socialismo, dagli anni '70 conobbe una ripresa e una diffusione significative, soprattutto come studi delle relazioni internazionali, fondate su rapporti di forza, per il controllo dello spazio e delle risorse. Il generale Pierre Gallois la definisce così: "La geopolitica è lo studio delle relazioni che esistono tra la condotta di una politica di potenza sviluppata sul piano internazionale e il quadro geografico in cui essa si esercita".

La grande fama di questa disciplina proviene dalla capacità attribuitale dai suoi studiosi di anticipare l'azione politica, e dunque anche gli eventi futuri, attraverso l'analisi del contesto spaziale, inteso in senso geografico, ma anche culturale, sociale ed economico, degli interpreti politici stessi o almeno di una parte dei comportamenti politici. Il risveglio che la geopolitica ebbe si è poi trasformato in una vera e propria moda culturale, con una notevole fioritura di progetti in campo editoriale. Sostiene di fatti l'enciclopedia Treccani: "Se il campo concettuale si è ampliato, l'ipotesi che continua a sostenere la geopolitica come attività di analisi della realtà contemporanea è sostanzialmente quella tradizionale: che dalla disposizione dei fenomeni nello spazio derivi almeno una parte dei comportamenti politici e che, perciò, in base all'analisi di quella disposizione sia possibile interpretare gli eventi verificatisi e prefigurare scenari futuri. Quest'ultima presunta capacità, molto enfatizzata a livello di divulgazione, ha accresciuto la popolarità della geopolitica e la frequenza di argomentazioni geopolitiche, soprattutto nella stampa d'informazioni...".

Alcuni ambienti post-ideologici, politici o tradizionalisti fanno della geopolitica lo strumento di comprensione preferenziale, o il paradigma interpretativo unico, con il quale comprendere i fatti e le dinamiche storiche tra gli Stati o altri soggetti storico-politico-economici. Per questi, la logica unica della potenza e il criterio dell'accaparramento egoistico del potere e dell'influenza sarebbero dunque le "leggi" che determinano i cambiamenti sul piano geografico e storico. Né le ideologie politiche, né valori etici, né tantomeno le dottrine religiose sarebbero dunque capaci di orientare davvero l'azione umana di gestione del mondo.

Questa scuola vorrebbe richiamare ad una comprensione della realtà libera da sovrastrutture interpretative arbitrarie relative a qualsiasi teoria ideologica. Vorrebbe mettere in luce dunque la struttura fondamentale delle dinamiche politiche, rintracciandola in sostanza in motivazioni di realpolitik, d'influenza, di supremazia, di flussi di materie prime, capitali, informazioni e così via. Nel fare ciò particolare rilevanza è attribuita alle coordinate dello spazio e del tempo, alla geografia e alla storia, quest'ultima per come viene reinterpretata e reinserita tra le motivazioni dell'azione politica.

Tuttavia queste due direttrici, seppur non intese in termini meramente quantitativi o uniformanti, non bastano di certo alla comprensione dei fatti e delle relazioni umane. Non bastano di certo, e

innanzitutto, per capire le dinamiche del passato, e di ogni civiltà tradizionale, per le quali ben altre e diverse ragioni si imponevano al potere temporale.

Un esempio: poiché per noi le ragioni dell'economia vincono su tutto e sono primarie, si è preteso che anche in passato queste fossero all'origine di ogni rapporto tra i popoli, ma è ingiustificabile tradurre la mentalità dei moderni in contesti del tutto differenti, in cui le idee attuali non avevano alcuna ragione di essere concepite, infatti, come sostiene René Guénon: "... è difficile che gli scambi commerciali siano mai potuti avvenire con continuità senza essere presto o tardi accompagnati da scambi d'un genere del tutto diverso, particolarmente a carattere intellettuale; e può anche darsi che in certi casi le relazioni economiche, lungi dall'avere l'importanza di primo piano che hanno assunto presso i popoli moderni, non abbiano avuto che un'importanza più o meno secondaria. Esclusivamente moderna, infatti, è la tendenza di ricondurre tutto al punto di vista economico, sia nella vita interna d'un paese, sia nelle relazioni internazionali; gli antichi, anche gli Occidentali, ad eccezione forse dei soli Fenici, non vedevano le cose sotto questa luce, e gli Orientali, ancora al giorno d'oggi, neppur loro le vedono così".

Ma non bastano, in realtà, neppure per comprendere fino in fondo la realtà attuale: non certo perché oggi gli uomini pretendano di conformarsi ad un modello sacrale di gestione della Creazione, ma perché seppur le azioni sono dirette da logiche meramente opportunistiche e di potenza, inevitabilmente nell'ordine universale la somma di tutti gli squilibri particolari, per quanto gravi, concorre senza dubbio sempre all'equilibrio totale che nulla potrebbe alterare, riflesso dell'Unità divina stessa, seppur in ogni punto, preso a parte e in se stesso lo squilibrio è possibile e concepibile. E solo rispetto questo orizzonte universale si possono davvero comprendere la portata e il significato di certi avvenimenti (oltre anche alla loro collocazione spazio-temporale, si pensi alla relazione di certi luoghi con l'escatologia, ad esempio). In effetti come spiega precisamente ancora René Guénon: "quel che si è detto vale per i fatti storici come per tutto il resto; anch'essi si conformano necessariamente alla suddetta legge di corrispondenza, e appunto per questo traducono, al loro livello, le realtà superiori di cui in certo qual modo non sono che l'espressione umana; ed è questo, aggiungiamo, a determinarne tutto l'interesse dal nostro punto di vista, che, va da sé, è completamente diverso da quello degli storici profani".

In particolare quando si parla di realtà che hanno anche a che fare con la realtà dello Spirito, come ad esempio l’Unità della Chiesa o della Umma islamica minacciate oggi come in passato, ciò che sfugge alla stragrande maggioranza delle analisi e considerazioni che si leggono generalmente è che tali Realtà (e Unità) riposano su ben altro rispetto le ordinarie dinamiche storiche e umane, pur certamente appoggiandosi sul ricettacolo umano. Farsi oltremodo coinvolgere in queste dinamiche, per noi, significa estraniarsi dal punto di vista dello Spirito per cose del tutto mondane e passeggere, come possono essere l'errore o il male, cose che, come ci ricordano le tradizioni, non ne infrangeranno in maniera irreversibile la costituzione fino alla fine dei tempi. Quindi, non bisogna agitarsi tanto, perché si sfocia nel ridicolo di credere che tale Potenza possa venire meno: non verrà mai meno così come nell'equazione della Legge di azione di massa la costante ci dice che un Resto c'è sempre e che quello che a noi sembra governato da una certa casualità, è in realtà assoggettato ad un Modello superiore, con rigore analogo, sebbene indefinitamente superiore.

Dunque pretendere di abbassare e ricondurre la spiegazione delle cose alla loro dimensione più bassa e apparentemente immediata è analogamente infondato, insufficiente da un punto di vista realmente esplicativo, e ugualmente ideologico. La comprensione delle cose non deve prodursi dal lato sostanziale, ma da quello essenziale. Una prospettiva solo utilitaristica e orizzontale, rappresenta quindi una vera riduzione semplificativa della comprensione delle dinamiche umane e cosmiche che si realizzano nella manifestazione, riduzione che corrisponde a quel "pseudoprincipio" logico per il quale "la natura agisce sempre per le vie più semplici", postulato del tutto gratuito, che vale ancor meno per l'uomo, in quanto non si capisce proprio cosa possa obbligare la natura ad agire proprio in questo modo e non altrimenti; invece condizioni ben diverse dalla semplicità possono intervenire nelle operazioni naturali e a maggior ragione umane, tali da determinarli ad agire in modi che possono apparire come molto complicati.

Di quale "uomo" si parla?

Occorre allora riacquisire innanzitutto il senso eminentemente qualitativo della geografia e della storia sacra, nelle due direttrici del tempo e dello spazio, dell'uomo e del mondo, non concepiti secondo un'interpretazione quantitativa uniformante (perché, bisogna dirlo, gli storici e gli psicologi moderni, anche i geopolitici, immaginano il mondo, il tempo e l'uomo, questo mentalmente, come se fossero stati sempre tali e quali sono oggi), ma occorre poi porsi al di là dei "limiti della storia e della geografia" per comprendere il "perché", il senso di certi eventi, ricollegandoli per cosi dire verticalmente ai loro principi, e dunque riferendoli all'orizzonte universale della Realtà in cui sono inseriti e da cui non possono essere scollegati.

La geopolitica considera sì i diversi spazi come dissimili e determinanti rispetto le dinamiche reali, però lì considera tali non in se stessi, ma solo in funzione dei soggetti politici o economici che ne usufruiscono. La prospettiva della geografia sacra invece è diversa perché investe i diversi luoghi del mondo di una qualità ad ognuno peculiare. Ci sono luoghi che non sono affatto come altri luoghi, così come ci sono tempi specifici. La montagna, ad esempio, (ed alcune in special modo, a simbolo della "montagna polare") ha una propria funzione simbolica e costituzione che la rende un vero e proprio Tempio naturale, l'Asse mediatore tra Cielo e Terra, un “mandala” terrestre. Così l'hanno considerata tutte le civiltà tradizionali, si pensi al monte del Purgatorio, al Sumeru, al Kunlun, al Fujiyama e così via. Il mare, d'altra parte, ha un valore simbolico ed effettivo che è ben lontano e ben oltre la funzione strategica che ha per le cosiddette "talassocrazie", o rispetto l'uso balneare e ricreativo che gli uomini gli attribuiscono oggi. E così foreste, città, deserti, isole, campi coltivati, caverne e così via hanno tutti rivestito, agli occhi delle civiltà tradizionali, una funzione di supporto contemplativo specifico e irrinunciabile, oltreché ospitare ed accogliere Presenze e Grazie particolarmente pregnanti. Ma si pensi soprattutto alla realtà delle varie "Terre Sante", o "Terre dei Viventi" con cui le tradizioni hanno indicato il riflesso visibile e accessibile del vero Centro del Mondo. Costituiscono, questi, l'intersezione del raggio spirituale, l'asse verticale della croce, con il piano orizzontale di riflessione, e, proprio a causa di ciò, si determina in quei luoghi la

"discesa" di quella "rugiada celeste" che come pioggia benedetta rigenera l'uomo nella sua integralità, in spirito, anima e corpo.

Il principio di diversificazione di questi luoghi dipende, in fondo, dal fatto che essi sono dei ricettacoli che, come ogni cosa, accolgono, a causa della loro diversità, la presenza spirituale in maniera differente. Certo la luce dello Spirito, proprio come quella del sole fisico, è unica e si spande incondizionatamente su tutta la Creazione, non si diversifica la luce, bensì il suo accoglimento: i corpi lucidati non la ricevono allo stesso modo dei corpi offuscati.

Si ammetta pure, con la geopolitica, il presupposto teorico che lo Stato sia e si comporti come un organismo che nasce, si sviluppa e decade, e che, al pari degli esseri viventi, ha bisogno di uno spazio vitale, bisognerà comunque allora considerare l'uomo nella sua integralità e nobiltà, e non solo nelle sue deviazioni egoistiche e individualiste, considerandolo alla stregua di un animale puro e semplice, come se la sua più profonda ragion d'essere fosse l'istinto autoconservativo.

Difatti l’uomo, ultimo essere creato, è in qualche modo il sigillo della stessa Creazione, per la quale si trova in una posizione centrale. Sebbene inferiore agli angeli quanto alla vicinanza a Dio e alla purezza e costanza dell’adorazione, egli è tuttavia superiore a essi per l’orizzonte conoscitivo di cui Dio l’ha reso capace. Le tradizioni riportano che Dio ha insegnato ad Adamo, primo Uomo, «i nomi di tutte le cose», e i sapienti vedono in ciò la capacità dell’uomo di conoscere l’essenza di tutte le cose e dunque anche la facoltà di esserne il custode, poiché la capacità di agire dipende strettamente dalla capacità di conoscere.

La funzione dell’uomo, servo di Dio e a Lui sottomesso, è quella di khalîfat Allâh fî-l-ard, come dicono i musulmani, vicario di Dio sulla terra. Questo il senso tradizionale della parola khalîfa, califfo. Nella Rivelazione coranica infatti, Dio mostra gli esseri e le cose quali testimoni allo stesso tempo del miracolo creativo della Sapienza divina, dalla quale come ogni cosa dipendono, e della disponibilità a integrarsi in un ordine spirituale del quale l’uomo costituisce il vertice e il custode.

Si tratta della funzione di mediatore tra il Cielo e la Terra. L’uomo, come lo testimonia la sua posizione verticale, è naturalmente rivolto verso il Cielo, al quale deve rivolgersi per contemplare le realtà eterne e saperle tradurre nella vita in questo mondo, tramite quell’intelletto universale, superiore alla ragione, lo Spiritus del ternario medievale «corpo, anima e spirito» di cui è composto.

Ogni uomo ha la responsabilità di esercitare conformemente alle sue possibilità questo vicariato divino, questa traduzione consapevole e attiva delle verità celesti nella croce spazio-temporale in cui Dio l’ha posto, non perdendo mai di vista la gerarchia del Cielo rispetto alla terra. Questo per dire che le soluzioni ai problemi attuali, come ad esempio le guerre continue e sanguinose, l'incapacità della diplomazia, la crisi sociale, morale e di senso, quella dei flussi migratori, l’inquinamento, la gestione delle risorse energetiche, i mutamenti climatici e le catastrofi naturali, non possono essere intraprese perdendo di vista il fine superiore della vita dell’uomo.