Francesco e il Sultano

Francesco e il Sultano

“Signore, pensate e credete che Dio abbia mandato i frati soltanto per queste province? Ma io vi dico in verità che Dio ha scelto e mandato i frati per il bene e la salvezza delle anime di tutti gli uomini del mondo intero. E saranno accolti nella terra non solo dai fedeli, ma anche dagli infedeli. E fintantoché osserveranno quanto hanno promesso a Dio, Dio stesso li provvederà del necessario nella terra così degli infedeli come dei fedeli”.

Questo passo, desunto da una fonte francescana per taluni “minore” e per talaltri problematica, esprime tuttavia il nucleo del nostro problema. Cercherò di evitare al riguardo la rassegna storiografico-metodologico-problematica dell’affascinante ma complessa pgina della visita di Francesco al sultano al-Malik al-Kamil e cercherò di puntare a quel che vorrebbe sapere un lettore non specialista di questioni medievistiche o francescanistiche.

Dopo il capitolo generale di Pentecoste riunitosi alla Porziuncola nel maggio del 1217, durante il quale vennero istituite le province di quellafraternitasche ormai si era costituita in religio, ma che vedeva il suo futuro sviluppo minacciato dalla costituzione conciliare del 1215 la quale vietava la fondazione appunto di nuove nuove religiones, quel che noi moderni usiamo definire “Ordini religiosi”, e si stabilì inoltre che alcuni gruppi di frati si sarebbero diretti fuori d'Italia, alla volta della Germania, dell'Ungheria e della Terrasanta, Francesco – che dal canto suo si era riservata la Francia, paese che già in parte conosceva per essere stato anni prima pellegrino a Santiago e quindi in qualche modo testimone diretto o indiretto (per quanto non ne abbia mai parlato) sia della crociata “degli Albigesi”, sia di quella “dei pueri” - si era messo per strada verso nord: arrivato a Firenze vi aveva incontrato il cardinale Ugo d'Ostia, futuro protettore dell'Ordine, il quale stava compiendo una visita all'Italia centrosettentrionale per pacificare lelotte cittadine in vista della nuova crociata. Ugo aveva consigliato Francesco di non abbandonare l'Italia, finché la situazione giuridico-istituzionale della suafraternitasnon fosse del tutto chiarita e consolidata: molti difatti ne erano gli avversari, anche e soprattutto nella Curia romana. La risposta fu, secondo la Compilatio Assisiensis, quella dalla citazione della quale è partito il nostro discorso. Una risposta rivoluzionaria: fino a Francesco e a Domenico, nessun Ordine – e lasciamo qui da parte la questione che quello dei Minori non fosse ancora tale – si era posto come specifico còmpito quello di recare la Parola del Cristo agli eretici (Domenico) e agli infedeli (Francesco). Episodi e momenti di proselitismo e di missionarismo certo ve n'erano stati, ma in contesti del tutto diversi e privi comunque di quella sistematicità animata di prospettive apostoliche e profetiche che sembra essere propria della risposta fornita dal Povero d'Assisi al nobile cardinale che gli consiglia prudenza. Sappiamo del resto che Francesco aveva già progettato, secondo Tommaso da Celano, di recarsi in Siria “per predicare la penitenza ai saraceni e agli altri infedeli”, ma una tempesta aveva obbligato a interrompere il viaggio la nave sulla quale egli si era imbarcato nel 1212- l'anno stesso della “crociata dei pueri” - nel porto di Ancona; l'anno successivo, nel 1213, egli aveva cercato, dopo aver visitato il santuario di Compostella, di passare in Maghreb e di testimoniare il Cristo in una “presenza”, a dirla con Dante, ben più “superba” del mite e clemente al-Malik sultano d'Egitto: quella di a-Nasr, Il califfo almohade già inferocito per la recentissima sconfitta di Las Navas de Tolosa e che i cristiani chiamavano “Miramolino”, bizzarramente adattando al loro eloquio il titolo ufficiale di “comandante dei credenti” (amir al-mu'minin) e che risiedeva nella splendida capitale di Marrakesh.

Ovviamente, durante l'incontro fiorentino, Francesco – che già rispondeva a Ugo in un modo che forse lo avrà un po' sorpreso se non addirittura contrariato – non si sarebbe mai neppure sognato di teorizzare, in presenza appunto per giunta di un cardinale in giro per l'Italia al fine di propagandare la prossima crociata, un modo alternativo di porsi nei confronti degli infedeli. E' in altri termini evidente che i due grandi problemi che noi continuiamo a porci (perché Francesco ha voluto vedere il sultano? La sua proposta era o no contraria alle crociate?) sono singolarmente assurdi. Francesco, tanto più in quanto sa benissimo che al posizione die Minori in seno alla Chiesa è ancopra incerta, si guarda bene dall'avanzare progetti in contrapposizione con quella crociata cui sia papa Onorio sia il cardinale Ugolino tengono tanto. L'essere accolti dagli infedeli e il pensare alla salvezza delle loro anime è cosa che, episodicamente, può anche entrar in conflitto con la crociata, ma le due dimensioni sono del tutto diverse. Lo scopo della crociata, ai primi del Duecento, è il recupero di Gerusalemme perduta dai cristiani latini nel 1187; il sogno di Francesco è la proposta della Parola del Cristo ai musulmani. Se non partiamo da questo dato obiettivo, tutto il complesso degli avvenimenti egiziani nel 1219 risulta falsato e incomprensibile.

L’importante libro di John Tolan, Le saint chez le sultan, edito nel 2007 e tempestivamente tradotto nella nostra lingua, adotta al riguardo un taglio largamente incentrato sul tema della fortuna storiografica dell'incontro. Si tratta di una ricerca molto importante per erudizione e per profondità di discussione delle fonti e della letteratura moderna: da essa sarà in futuro per molto tempo impossibile prescindere. Ma nemmeno Tolan può, e tutto sommato vuole, risolvere definitivamente il problema costituito non tanto dalla probabilità che Francesco ed al-Kamil si siano davvero incontrati (il che parrebbe certo, vista la quantità e la varietà delle fonti che ne trattano), quanto dalal sostanza di quel che si sono detti e dalle circostanze nelle quali è avvenuto il colloquio.

Si sono dunque davvero incontrati, Francesco d'Assisi e il sultano d'Egitto, fra l'estate e l'autunno del 1219? Pare di sì: o comunque è probabile, dal momento che l’episodio è in varia misura richiamato anche in fonti non francescane; ché, in caso contrario, si potrebbe pensare a una pia tradizione interna all’Ordine. Esistono difatti al riguardo cinque testimonianze non tardive e non francescane: la Historia occidentalis del vescovo di San Giovanni d'Acri

Giacomo da Vitry; il cronista Ernoul, continuatore della Cronaca di Guglielmo di Tiro; il cronista Bernardo il Tesoriere, epitomatore di Ernoul; l’anonima Histoire d’Eracles empereur et la conqueste de la terre d’outremer, del 1229-31, che conosce Francesco, non parla della visita al sultano ma allude al “male” e al “peccato” che stavano crescendo tra la gente dell’accampamento”; infine l'epigrafe funeraria di Fakhr ad-Din Muhammad ibn Ibrahim Fârîsi al cimitero di Qarâfa al Cairo, che a Francesco sembra alludere. Queste testimonianze corroborano quella di Tommaso da Celano, che rispetto a loro è più recente, e quelle, più recenti ancora, di Giordano da Giano e di Bonaventura - tutte minoritiche, queste tre - che potrebbero altrimenti venir sospettate di aver fondato la leggenda dell'incontro per ragioni e scopi interni all'Ordine o relative alla sua immagine. Naturalmente, al riguardo, l'episodio centrale e quello che solleva più dubbi riguarda l'ordalia del fuoco - che richiama celebri pagine dell'XI secolo: Pietro Igneo, Pietro Bartolomeo, Liprando... -, la veridicità della quale Louis Massignon prima e Giulio Basetti-Sani poi hanno tuttavia rivendicato sulla base dell'analogia con un episodio della vita del Profeta.

Vi sono tuttavia almeno altri due momenti nella vita del Povero d'Assisi - riguardo ai quali l'appurare la verità storica è molto più arduo che nel caso dell'incontro col sultano - che sembrano affiancarsi ad esso e porsi rispetto ad esso in una posizione complementare: al punto tale che viene da chiedersi se gli altri due non siano amplificazioni leggendarie e simboliche del primo. Si tratta della "predica agli uccelli" e dell'incontro con il lupo di Gubbio: in relazione ai quali si è sottolineato il rapporto del santo con la natura, e soprattutto con gli animali, e si è tralasciato invece di porre in luce come l'infedele, gli uccellacci (e non solo uccellini) e il lupo potrebbero essere tre simboli, tre variabili di un solo episodio qualificante il rapporto con "l'Altro".

Che gli infedeli, il lupo e gli uccellacci (e uccellini) possano essere interlocutori del Povero d'Assisi rinvianti in tre differenti modi alla stessa realtà del mondo corrotto e peccaminoso, eppur meritevole d'amore, e che quindi i biografi di Francesco abbiano iterato

narrativamente per tre volte il medesimo episodio trasferendolo in tre diversi contesti e riferendolo a tre diversi fatti specifici della vita del Povero d'Assisi, differentemente verosimili e differentemente documentali, è possibile per quanto non possa venir provato. Ma torniamo a quello dei tre episodi che è il più solidamente attestato dal punto di vista storico.

Si è molto insistito, al riguardo, sul fatto che le crociate furono in effetti esperienze nate sul ceppo del pellegrinaggio armato e che - pur avendo conosciuto momenti ed episodi di ferocia - non possono in alcun modo venir avvicinate a forme moderne di "guerra di religione"; e che il loro impatto distruttivo sulla società mediterranea fu molto contenuto. D'altro canto modelli ed esempi di simpatìa reciproca, di comprensione, di scambi umani, culturali e diplomatici tra cristiani occidentali e musulmani, non mancano in tutto il XII secolo. Ciò sia detto non già per ridurre l'originalità di Francesco e di Federico, ma al contrario - lungi da qualunque determinismo - per meglio situarle nel loro contesto. La visita di Francesco ad al-Malik al-Kamil, gli amichevoli scambi diplomatici di Federico con il medesimo sultano, non s'intendono anzitutto - ma non è questo il nostro còmpito - se non studiati anche attraverso la personalità del sovrano ayyubide che fu protagonista di tutti gli episodi che qui c'interessano; e inoltre non si giudicano correttamente se non tenendo presente le molte occasioni di colloquio già verificatosi fin allora. I rapporti diplomatici tra franchi e saraceni erano frequenti in Terrasanta non meno che in Spagna, dove non era strano neppure che capi crociati si alleassero con gli infedeli per combattere opposte coalizioni franco-musulmane; quanto alla comprensione e al rispetto sotto il profilo religioso, si pensi all'emiro Usama ibn Munqidh, che a Gerusalemme veniva ospitato dai templari e lasciato pregare secondo il rito musulmano in un ambiente ricavato da una chiesa (ch'era poi, evidentemente, l'edificio della moschea di al-Aqsa); e si mediti infine sui numerosi passi delle chansons de geste e dei romanzi cavallereschi nei quali si rende omaggio al valore e alla cortesia dei leali avversari saraceni.

Anche nel quadro del rapporto tra crociata e missione, all'origine del quale si pone di solito l'episodio dell'incontro di Francesco col sultano, s'imposta troppo spesso la questione in modo deterministico e non senza un pizzico di anacronismo: facendo retrocedere cioè la Weltanschauung della missione, che non si sviluppa prima della metà del XIII secolo, sino al Povero di Assisi. E dando per scontato intenzioni che, in Francesco, non risultano affatto così chiare; mentre sussistono ancora forti interrogativi sul carattere e il significato da autenticamente attribuire al rapporto tra il Povero d'Assisi e l'Islam.

Che il primo movente di Francesco, recandosi in Terrasanta e dal sultano nel quadro della crociata guidata dal cardinal Pelagio, fosse la ricerca del martirio, è sostenuto dai biografi francescani di Francesco e dai commentatori della Regula bullata, anche sulla base dell'appoggio dei brani evangelici citati appunto in tale Regula e di altri casi, come quello dei francescani che predicarono il Vangelo a Siviglia e in Marocco tra 1219 e 1220 e che condussero tale predicazione attaccando l'Islam, un atteggiamento che andò oltre, forse, rispetto alle raccomandazioni di prudenza e di umiltà fatte loro da Francesco. D'altronde, le osservazioni addotte da quanti ritengono che in Francesco il desiderio di testimoniare la fede cristiana presso i saraceni (ch'è già cosa diversa dal predicarla con la volontà di convertirli) fosse alternativo alla crociata, ch'egli avrebbe implicitamente disapprovato, appaiono deboli e aprioristiche; per quanto a mia volta io - sostenendo che Francesco considerava semmai la sua azione come un supporto alla crociata e che non poteva comunque impegnarsi contro un'azione che (approvasse o meno in cuor suo la spedizione armata) era quella voluta dal pontefice - ammetta di aver formulato un parere troppo deciso e forse schematico (come osserva Benjamin Z. Kedar, richiamando a maggior prudenza. Ritengo semmai che quel che si debba con forza sottolineare è che sembra molto improbabile che Francesco abbia agito non dico contro, ma nemmeno senza l'autorizzazione dei capi della crociata, a cominciare dal cardinal Pelagio. Quanto poi questi ritenesse utile che il Povero d'Assisi riuscisse a incontrare il sultano, resta un interrogativo. Si è avanzata l'ipotesi che la successiva offerta del sultano, consentire ai cristiani un libero accesso a Gerusalemme (cioè non condizionato dal pagamento di balzelli d'ingresso) in cambio dello sblocco del delta del Nilo, fosse stata suggerita da Francesco: ma non certo dal cardinal Pelagio, che appena enne formulata la respinse. Che cosa resta allora da pensare? Che Francesco, ottenuta da Pelagio l'autorizzazione a incontrare il sultano, abbia poi presentato ad al-Kamil istanze sue personali, o eco del parere di altri capi crociati? Ciò sembra alquanto dubbio.

Un altro problema da approfondire sarebbero quello riguardante il carattere del colloquio tra il santo e il sultano. Qui sembrano convergere due elementi: quello dell'ordalia, che (a parte il caso islamico ricordato dal Basetti-Sani) parrebbe richiamare a modelli relativi addirittura al secolo XI (gli episodi fiorentino di Pietro Igneo e milanese del prete Liprando); e quello della discussione di tipo controversistico, comune al mondo orientale ma in verità assente in quello occidentale, a parte i casi inerenti allo sviluppo del catarismo. Ma il tono generale dell'episodio, quale emerge dal confronto delle fonti e pur attraverso la loro non concorde rispettiva testimonianza, è piuttosto quello di un incontro all'insegna della cortesia e della carità: il sufi cristiano, col suo abito tanto simile a quello degli uomini di Dio dell'Islam, che chiede udienza al gran signore, e che l'ottiene perché i poveri e i pazzi sono cari e accetti ad Allah, Clemente e Misericordioso; e un breve, affettuoso colloquio magari incentrato su Gesù, Dio certo per Francesco ma anzitutto Fratello e Maestro in povertà e grande profeta per al-Kamil; e poi i doni e l'affabile congedo. Certo, sarebbe inimmaginabile l'evento opposto, un asceta musulmano che si reca dal cardinal Pelagio, gli chiede di parlare con lui di Dio, e viene accolto con dolcezza e cortesia: ma i cristiani latini che giungevano armati dall'Occidente per la crociata poco o nulla sapevano dell'Islam, mentre al-Kamil di cristiani nel suo sultanato d'Egitto, tra i mercanti latini delle grandi città nilotiche e gli autoctoni copti, se ne intendeva eccome. Questa è una differenza che forse anche molti studiosi hanno sottovalutato.

Molte cose sarebbero ancora da dire; moltissime sono state dette da altri, e le note che il lettore trova qui a piè di pagina potranno introdurre chi voglia da approfondimenti ulteriori. Mi sembra comunque, concludendo, di poter affermare che Francesco alla crociata (ed è egli stesso crociato, ha cioè formulato un voto che implica il pellegrinaggio, non il combattimento; peraltro, essendo diacono, non avrebbe potuto portare comunque le armi) è andato per esser vicino ai fratelli in cristo che combattevano e presumibilmente peccavano – noni sani, ma gli ammalati hanno bisogno del medico -, ma anche per incontrare i musulmani, dei quali peraltro non sapeva granché ma che considerava con occhio amoroso e fraterno.