L’Esicasmo nella Tradizione italo-greca

L’Esicasmo nella Tradizione italo-greca

La Tradizione cristiano ortodossa dell’Italia Meridionale, di lingua e cultura sia greche che latine - con una netta predominanza delle prime – ha origini assai profonde e, fin dal suo sorgere, è legata all’Esicasmo, cuore spirituale della Tradizione Ortodossa, e alla Preghiera del cuore.

Ripercorrerne le tracce documentarie, agiografiche, storiche, artistiche, liturgiche è un lavoro davvero enorme che potrebbe addirittura, a tratti, sembrare improbo. Non è così, però, perché i risultati legati a tutto questo sono, invece, incomparabilmente superiori agli sforzi, pure notevoli: la fiamma viva di questa Tradizione non si è mai del tutto spenta in Italia e, marcatamente, nel Meridione e oggi, ancora una volta, la Sua Fiamma sembra pronta a divampare di nuovo, con esiti imprevedibili.

Questa Tradizione italo-greca fu la stessa che permise all’italico, il che voleva dire in pratica calabrese, Niceforo l’Esicasta, mentre nel Meridione imperversava la repressione franca e filo-latina di quella, considerata eretica e retaggio degli scismatici “Greci”, di – come scrive Palamas su di lui – “[…] riconoscere l’empietà di quelli [Latini…]” e fuggire all’Athos, intorno al 1240, dove perfezionò se stesso nell’Arte delle arti, sotto la guida dei migliori anacoreti e maestri della Sacra Montagna, fino a divenire noto come Niceforo l’Athonita o Niceforo il Grande e, per questo, essere perseguitato dall’Imperatore Michele VIII filo-unionista¸ fino alla morte di quest’ultimo. Suo è il celeberrimo Trattato colmo di utilità sulla custodia del cuore, che è uno degli scritti più importanti di tutta la Tradizione dell’Esicasmo bizantino ed ortodosso in generale.

La base di questa tecnica ascetica, descritta da Niceforo, è – tra l’altro – sorprendentemente simile alla Pratica dell’Estasi Filosofica, attribuita a Campanella, da taluni e a Giordano Bruno, da altri, ma – come scrive Reghini – degna di entrambi. Quello che ci preme anche sottolineare è la persistenza, nel Meridione, di una certa Sapienza, riproposta ad esempio poi dal Vico, che conserva la sua natura tipicamente italica – cioè pitagorica – e nella quale continuerà a riecheggiare, per secoli, una certa sensibilità cristiana sempre più distante da quella che si era venuta in seguito ad affermare, ma che continuava ad essere avvertita come una sorta di incolmabile vuoto, perché – al pari della Teologia “bizantina” – la sua sincope era avvenuta in modo traumatico e violento.

Di questa però, al pari della stessa tradizione italico-pitagorica, si può ripetere, a ragion veduta, ciò che scrisse Reghini a proposito della seconda: “[…] nel prender congedo [...] teniamo ad assicurare amici e nemici che, se viene a cessare questa rivista, non si estingue per ciò il fuoco sacro da cui ha tratto nome e vigore [Ignis]; se la fiamma visibilmente si oscura e vien meno, resta pur sempre la brace ardente; il fuoco coverà sotto la cenere, pronto ad appigliarsi ed a divampare novellamente quando il vento si levi a disperdere la tristizia dei tempi […]”.

Negli Anni Novanta, dopo un fecondo periodo di incubazione, coll’arrivo in Calabria del monaco athonita Kosmas, su indicazione di San Paisios, questo Fuoco è tornato ad ardere, sebbene abbia potuto dar vita, per ora, solo ad una labile fiammella. Per comprenderne, però, la portata, è necessario ripercorrere e conoscere attentamente quelle che – parafrasando Florosvkij – potremmo chiamare le vie della tradizione italo-greca. Questa stessa riscoperta faceva fremere d’amore per la Calabria padre Kosmas.

Tale tradizione, ovviamente, non si riduce al solo metodo della custodia del cuore, sebbene questo rappresenti uno dei suoi gioielli più preziosi. Vi sono altri metodi ascetici notevoli, più o meno direttamente collegati con questo o relativamente indipendenti, che nell’ambito cristiano ortodosso sono l’invocazione del Nome di Gesù, l’uso degli Inni e dei Salmi e molto altro ancora.

E’ possibile riscoprirli - presupponendo l’imprescindibile ricollegamento vivo e diretto a questa Tradizione - non solo attraverso gli scritti, che riaffiorano da biblioteche e siti archeologici, ma anche dallo studio dell’architettura, dell’arte, del patrimonio liturgico e della cultura materiale - nonché dalla sua possibile quanto benefica riproposizione, nell’ambito agricolo ed alimentare innanzitutto - depositaria, molto spesso, di antichissimi retaggi.

L’inizio della Tradizione cristiano ortodossa italo-greca, la si può far rimontare ad una serie di figure di altissimo profilo spirituale e culturale, delle quali ci occuperemo in modo dettagliato e particolareggiato. Queste sono Berillio di Catania, Apollinare di Ravenna, un gruppo di siriani di Antiochia - Greci - che sono tra quelli o prosecutori di quelli dei quali, nel Vangelo di Giovanni, è scritto: “[…] Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c'erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato […]”.

Questi sono: Marciano di Siracusa, Babila, Timoteo, Agapio; Modestino, Fiorentino e Flaviano, evangelizzatori della Campania, Ippolito evangelizzatore dell’Irpinia ed Erasmo da Formia. Ed ancora, Marcello di Taormina e, soprattutto, Pancrazio di Taormina. E’ importante notare che l’evangelizzazione della Sicilia e della parte tirrenica dalla penisola italica avesse un’origine antiochena, mentre il versante adriatico ne avesse una alessandrina.

La figura di San Pancrazio è assolutamente fondamentale e ne scriveremo dettagliatamente, ma a questa bisogna ancora aggiungere le figure di Stefano e Socrate di Reggio, Lorenzo di Siponto e, soprattutto, quella di Panteno.

Panteno, anche, è una figura notevolissima, perché in lui, la tradizione italo-greca di matrice pitagorica, in una cornice stoica, incontra quella dei Profeti e degli Apostoli e ad essa si sottomette in modo pio e zelante, esattamente come avveniva negli ambienti misterici pitagorici. Tra i suoi allievi: Clemente l’Alessandrino, Origene ed Alessandro di Gerusalemme, il primo lo chiamò per questo l’Ape Sicula: perché attinse al fiore della Sapienza Cristiana e fu in Egitto, nel Sud dell’Arabia, nel sud-ovest dell’India, dove potette studiare e venerare il Vangelo autografo di Matteo, scritto in aramaico, lasciato lì dall’Apostolo Tommaso.

Ad Alessandria fondò il Didaskalion ed è venerato come Santo anche dai Copti e nel Cattolicesimo. In ambito ortodosso, la sua figura resta un po’ nella penombra, essendo lui dichiaratamente sostenitore ed espressione di un esoterismo cristiano, una tradizione segreta, che, nel II secolo, era affermata anche fra gruppi di gnostici cristiani, in Egitto. La confusione fra la sapienza di cui era foriero Panteno e le varie correnti gnostiche ha sempre condizionato molto lo studio della trasmissione più autentica di questa sapienza che verrà indicata come di matrice alessandrina, ma la cui origine italica trova proprio in Panteno la sua giustificazione. Di quella antiochena in Italia, abbiamo già fatto cenno e ci riserviamo – a Dio piacendo – di svilupparne lo studio di entrambe.