Induismo, taoismo, cristianesimo e islam

Considerazioni sul simbolismo della Croce

22 settembre 2018 / CENTRO STUDI METAFISICI


Lo Shaykh Ahmad al-'Alawi (che Dio sia soddisfatto di lui) era soggetto a ricevere attacchi da parte di alcuni dottori della legge che avevano dimenticato lo spirito in favore della lettera. Quando un giorno lo rimproverarono per il fatto che il suo rosario ricordava la forma di una croce, lo Shaykh si alzò aprendo le braccia all'altezza delle spalle e domandò:

E noi? A quale forma vi sembriamo assomigliare? (M. Lings, Un santo sufi del XX secolo, Ed. Mediterranee, Roma 1994, pp. 95-96.)

Questo insegnamento dato dal santo, maestro spirituale fondatore della confraternita 'Alawiyya, ci ricorda come il linguaggio dei simboli sia comune a tutte le civiltà della terra. Gli stessi simboli, che rappresentano quindi le stesse realtà principiali, si ritrovano così in tradizioni molto distanti tra loro nello spazio e nel tempo. Questo è il caso della croce, presente da sempre sia in Oriente che in Occidente. Inoltre, simboli differenti possono esprimere la medesima funzione intellettuale. Così la croce può rappresentare l'unione dei complementari, come nel caso dello yang e dello yin nel Taoismo, o ancora, nell'Islam, l'alif e la ba' dell'alfabeto arabo, ugualmente simboleggiate alla stella e dalla mezzaluna (Vedi R. Guénon, Considerazioni sull'esoterismo islamico e il taoismo, Adelphi, Milano 1993.), che raffigurano rispettivamente l'asse verticale e il piano orizzontale. Il significato dei simboli è essenzialmente metafisico; essi, infatti, riflettono, ciascuno a proprio modo, il principio superiore dell'ente simboleggiato, coerentemente all'etimologia della parola "simbolo", poiché in greco significa precisamente "unire". Il simbolo è dunque unito al principio corrispondente in virtù di un legame reale ed effettivo. Come abbiamo detto, la realtà, e quindi il nostro stesso mondo, sono un simbolo del Principio, di Dio stesso. Quanto alle realtà metafisiche, che sono al di sopra del mondo fisico, possono essere indicate tramite i simboli che ad esse si riferiscono.

Si comprende dunque la grande importanza che i simboli hanno in tutte le tradizioni, perché possono costituire il supporto conoscitivo di realtà che non sarebbero altrimenti intellegibili. La legge fondamentale del simbolismo è quindi che ogni realtà di ordine inferiore può rappresentare simbolicamente quella realtà di ordine superiore alla quale essa è gerarchicamente ricollegata. D'altra parte, il simbolo costituisce un velo protettore che permette l'accesso alle rappresentazioni della verità, che senza di esso, sarebbero impossibili da sopportare per l'essere umano. Naturalmente, da un punto di vista essenziale, quel che conta è solo il principio simboleggiato, mentre il simbolo, al contrario, non presenta che un aspetto contingente e formale. Come dicono gli orientali, non si può confondere il dito che indica la luna con la luna stessa, o anche che, una volta saliti, la scala va lasciata.

La croce ha un carattere simbolico e allo stesso tempo è il segno di un fatto storico.

In realtà, questi due punti di vista non si escludono affatto, e, anzi, il secondo non è in certo qual senso se non una conseguenza del primo. (R. Guénon, Il simbolismo della croce, Ed. Luni, Milano 1998, p.12.)

Ѐ in questi termini che René Guénon ci insegna che la croce, come tutti i simboli, ha sensi molteplici, similmente a tutte le realtà manifestate, perché essa non potrebbe esistere se non fosse l'espressione di un principio superiore. E difatti uno dei significati principali della croce è precisamente quello di esprimere come l'unità divina sia all'origine di tutta la creazione e come ogni realtà esistente non sia altro che un riflesso di tale unità principiale e originale. La funzione dell'uomo, a sua volta simboleggiato dalla croce nella rappresentazione dell'Uomo universale, è di essere proprio lo strumento per la reintegrazione di queste realtà molteplici nell'unità divina, per Sua grazia.

La nostra incapacità di riconoscere il significato è dovuta quindi all'ignoranza della metafisica e delle sue leggi. Occorre considerare, infatti, che vi è una gran differenza tra erudizione da un lato conoscenza effettiva dall'altro. L'utilizzo costante della scrittura è relativamente recente nella storia dell'umanità, non perché la scrittura non fosse precedentemente conosciuta, almeno in principio, ma semplicemente perché non si avvertiva la necessità di fissare per iscritto la conoscenza spirituale e simbolica che era ben visibile agli occhi di nostri avi. In tutte le civiltà, la fase storica stessa in cui appare la scrittura corrisponde a un periodo nel quale l' "oblio" generale di certi principi comincia oramai a divenire preoccupante. All'origine dell'umanità, come ancora oggi per quel che concerne la parte più interiore del deposito tradizionale, la trasmissione avviene oralmente e direttamente tra maestro e discepolo, là dove la parola pronunciata è effettivamente rivivificata dal Suo soffio, che non esprime nient'altro se non lo Spirito stesso.

Il periodo iniziale dell'umanità, prima della sua decadenza, fu lontano dall'essere selvaggio e primitivo come vorrebbero far credere le teorie evoluzioniste. L'umanità viveva allora spontaneamente l'integralità delle possibilità inerenti allo stato umano, nella piena realizzazione spirituale di ogni ordine di realtà. I nostri avi venivano designati, nelle differenti tradizioni, come gli "uomini veri" dei quali bisognerebbe seguire le tracce.

Queste rappresentazioni dovrebbero far riflettere diversamente sul "popolo delle caverne" e sui pregiudizi a esso legati. Le pitture rupestri, lungi dall'essere immagini primitive o infantili, riproducono certamente i simboli più antichi e universali. Il loro significato era evidentemente ben conosciuto dai nostri antenati. La croce, con fogge diverse, veniva a volte tracciata a contornare le scene di caccia, e la stessa caccia aveva un'origine divina.

Il simbolismo della caccia rimanda immediatamente a quello della lancia e della spada, il cui significato è evidentemente analogo, e strettamente collegato, a quello della croce. Si pensi per esempio alla lancia del centurione romano Longino che trafisse il costato del Cristo e al Graal che ha raccolto il sangue che scorreva dal corpo di Gesù (si ritrova qui il simbolismo dell'alif e della ba'). La lancia rappresenta per l'appunto l'asse verticale che collega tutti i mondi o, per usare un altro termini, tutti gli stati molteplici dell'essere, così come collega effettivamente la preda al cacciatore. Essa è ordinata a quella che potrebbe essere chiamata "la grande caccia", vale a dire la caccia dell'anima da parte i Dio tramite la lancia dello spirito. Si tratta anche del simbolismo della falconeria, che è comune all'Islam e all'Occidente medievale. Il falcone simboleggia lo spirito che discende sulla preda, l'anima, e la sopraffà. Va notato che sia in Oriente sia in Occidente, nessuno poteva toccare il falcone con le mani tranne il suo ammaestratore, perché lo spirito deve restare sempre puro.

Ѐ anche la ragione per cui, nell'Islam, nello stato di sacralizzazione del fedele durante il pellegrinaggio alla Mecca, la caccia è proibita. In effetti, nella condizione particolare del pellegrinaggio, il simbolo può anche, in un certo senso, velare l'evidenza della realtà la quale esige che, durante questo tempo, non vi sia altra preda che l'anima del pellegrino, né altri cacciatori che Dio stesso. Infatti, la fine del grande pellegrinaggio termina con un sacrificio che riproduce il sacrificio di Abramo. Il montone sacrificato è un sostituto, secondo la legge del simbolismo di cui abbiamo parlato in precedenza. In realtà, con suo figlio, Abramo sacrificava la propria anima, sacrificio necessario per quella seconda nascita che dà accesso a una rivivificazione spirituale. Questo simbolo si ritrova nell'agnello spirituale che corrisponde, per l'appunto, nella dottrina cristiana, alla crocifissione del Cristo e quindi riporta al simbolismo della croce. Il sacrificio dell'agnello simboleggia quello della nostra anima, durante la nostra vita, anche prima dell'inevitabile sacrificio escatologico della nostra individualità al momento della morte.

La rappresentazione degli stati molteplici dell'essere tramite la croce non deve farci dimenticare che, se l'asse verticale ci permette di elevarci al di là della condizione del nostro essere, quest'asse si prolunga anche verso il basso, e chi non prenda la direzione del paradiso si dirige inevitabilmente verso l'inferno.

Il sacrificio, etimologicamente, sacrum facere, rendere sacro, non è di ordine sentimentale, come viene inteso dall'individualità moderna, ma è l'atto di sottomissione alla volontà divina nell'abbandono di tutto ciò che non è Lui. Il sacrificio è l'elemento per riunire gli estremi e gli opposti nella loro unità principiale. Si tratta di quel simbolo costituito dalla lancia spezzata che ha trafitto il Cristo e anche di Excalibur, la spada spezzata di Re Artù. Questa funzione della croce come simbolo di riunificazione e reintegrazione è localizzata nel suo centro, punto ove ci riconciliano e risolvono tutte le opposizioni.

Questo punto centrale corrisponde a qulla che nell'esoterismo islamico è indicata come la "stazione divina" che è "quella che riunisce i contrasti e le antinomie" (all-maqamu-l-ilahi huwa maqamu ijtima'i-d-diddayn), che si raggiunge con l'estinzione dell'io (al-fana') e quindi il sacrificio dell'anima. (R. Guénon, Il simbolismo della croce, Ed. Luni, Milano 1998, p.58.)

Nell'Islam, al di là del fatto che la spada, o la croce, permangono nella tradizione guerriera, questo simbolismo è espresso nei momenti rituali della sacralità quotidiana. Per esempio durante la preghiera comunitaria del venerdì (jumu'a) il khatib, colui che pronuncia la predica davanti ai fedeli, impugna una spada di legno, evidentemente non adatta a utilizzi bellici. Secondo una tradizione molto conosciuta, di ritorno da una spedizione militare, il Profeta ha detto:

Siamo tornati dalla piccola Guerra Santa alla grande Guerra Santa. Gli fu chisto: "Quale è la grande guerra santa? Il Profeta rispose: "Quella contro il proprio io".

Questa "guerra contro l'io" non la si può condurre che nel rispetto dell'ortodossia e dell'ortoprassi, simboleggiate da un asse verticale che taglia ad angolo retto un piano orizzontale. L'intersezione costituisce la centralità a partire da cui l'anima può elevarsi per raggiungere la vera intellettualità, tramite la pratica necessaria dei riti. I movimenti della preghiera canonica islamica tracciano ugualmente una croce che diviene così un "simbolo agito". La posizione in piedi rappresenta la direzione verticale della croce, l'inclinazione del tronco la direzione orizzontale e la prosternazione il punto di riunione delle due. Ѐ certo sorprendente che gli stessi movimenti traccino nello spazio le lettere del nome Allah (alim, lam, ha') che rappresentano esattamente le forme ch il corpo assume durante le posizioni della preghiera. Infine, nella preghiera, il fedele pronuncia la fatiha, la prima sura del Corano, con cui domanda a Dio di guidarlo sulla via diritta e non sul cammino di quelli che errano. La sura "racchiude" l'intera rivelazione, e descrive infatti l'intero processo della creazione che da Dio discende e a Lui fa ritorno, e facendolo vivere al credente. Il musulmano partecipa così, con la carne e le ossa, alla realtà del Principio, e si identifica a questo fino al punto che non è più lui ad agire, ma è Dio a pregare tramite lui.

Sempre nella preghiera, al momento della formazione dei ranghi, una linea orizzontale viene tracciata dai credenti uno accanto all'altro, spalla contro spalla, gamba contro gamba. Ѐ molto importante che la linea che collega i credenti tra di loro sia ben serrata e dritta, il che mostra che la vita spirituale trova i suoi fondamenti nella realtà quotidiana, nella solidarietà e fraternità dellaumma, la comunità islamica. In tale istante appare evidente, davanti a ogni credente, la linea verticale (solo rispetto alla disposizione delle fila dei credenti) in direzione della ka'ba, luogo privilegiato, ma non esclusivo, in cui si trova la sakina, la presenza di Dio. Dunque, al momento della preghiera, si manifestano le due direzioni della croce, l'orizzontale e la verticale.

La croce simbolizza il legame tra i differenti stati dell'essere e, in certo qual modo, la via per percorrerli. Inoltre, in tutte le tradizioni, essa simboleggia l' "Uomo universale". Questa realtà dell'Uomo universale rappresenta la possibilità, che si presenta a ogni uomo in ogni istante della sua vita, hic et nunc, nella situazione spazio-temporale che gli è propria, di sacrificare la propria individualità per realizzare l'unità con Dio. Un saggio cinese diceva:

Ogni essere porta sulla sua schiena l'oscurità e stringe tra le braccia la luce, il soffio indifferenziato costituisce la sua armonia. (Lao Tse, Tao te ching.)

Questa metafora richiama la crocifissione del Cristo, quando l'oscurità regnava mentre portava la croce sul cammino per il Golgota. La luce della verità dissipò le tenebre nel momento del sacrificio e della riunificazione con Dio. Qui ancora, la croce simbolizza quella reintegrazione della molteplicità nell'unità di cui abbiamo già parlato.

Il Profeta Muhammad è per i musulmani la figura dell'Uomo universale. Egli riunisce tutti i profeti in una sintesi finale che è il riflesso della loro unità principiale "nel mondo dell'alto". Egli totalizza in sé tutti i gradi dell'esistenza, come li conteneva in origine, perché è detto che egli era prima che Adamo fosse. Per ogni musulmano, lo sforzo spirituale consiste proprio nel seguire, in ogni istante della propria vita, l'esempio profetico e realizzare l'estinzione in Dio "con ogni sguardo e ogni respiro".

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