La diplomazia della speranza

Convegno 'Religione e Diplomazia' – Roma, Augustinianum

La diplomazia della speranza

Intervento del Metropolita di Calcedonia Emmanuel all’evento organizzato dal KAICIID giovedì 18 dicembre 2025 presso il Centro Congressi – Augustinianum di Roma

La necessità di una nuova valutazione del rapporto tra religione e diplomazia, oggigiorno inizia a essere considerata non solo nella larga platea delle relazioni internazionali, ma anche dagli attori responsabili e dagli esponenti delle comunità religiose. Il trattare, fino ad ora in modo spesso arbitrario, la religione come fattore esclusivamente privato o, peggio ancora, esclusivamente come fonte di conflitti, ha sempre rappresentato la causa e l'occasione principale di un fraintendimento veramente impressionante delle potenziali dinamiche del fattore religioso nella risoluzione delle crisi. Ciò che serve ora è che i vari organismi, come KAICIID e il Vaticano, svolgano un lavoro più sostanziale, affinché si possa finalmente far emergere quale sia la funzione di un leader religioso nel mondo moderno.

In questa direzione, desideriamo anche contribuire in qualche modo con il nostro intervento di oggi. Il nostro obiettivo non è presentare un’esposizione sistematica di qualche teoria politica – poiché sostanzialmente tale esposizione sistematica non appartiene alla competenza della Chiesa – ma avvicinarci al pensiero sulla "diplomazia della speranza", come ha giustamente affermato Papa Francesco. E di conseguenza vedere come queste posizioni possano essere comprese all'interno della tradizione della nostra Chiesa, affinché alla fine possiamo confrontare le nostre percezioni con le sfide dell'epoca.

Crediamo infatti che la tradizione della Chiesa, o più specificamente i secoli di esperienza del Patriarcato Ecumenico, debbano essere un criterio non solo per il nostro pensiero ma anche per la forma d'azione da poter seguire sulla scena internazionale. La tradizione della diplomazia al Phanar non è una realtà del passato. È una questione del presente ma anche una forza formativa per il futuro. È dinamica e viva e costantemente arricchita col martirio e la storia. Viviamo in un'epoca in cui la religione presenta un'ambiguità. Da un lato, vediamo conflitti che si vestono del mantello del sacro, un tragico misconoscimento della realtà che porta al fanatismo. Dall'altro, assistiamo a una nuova era di solidarietà interreligiosa. La diplomazia, quindi, della Chiesa insieme alla sua teologia "non è stasi, ma movimento". Non è statica ma dinamica. È qualcosa di "dinamico" che esiste nel presente, capace di creare ponti dove altri vedono muri. L’umanità di oggi - umanità sofferente di guerre e di instabilità geopolitiche - non può accontentarsi di soluzioni imposte dalla tecnologia, ma cerca significato. Ed è proprio qui che risiede la responsabilità dei leader religiosi. Le diplomazie di Stato modellano certamente le condizioni sotto la pressione degli interessi nazionali. I leader religiosi, tuttavia, plasmano le coscienze sotto l'ispirazione dei comandamenti di Dio e in particolare del comandamento dell'amore. Questo amore prese forma concreta nella persona di Cristo e costituisce il fulcro del dinamismo di ogni vero sforzo di pace.

Se la diplomazia religiosa diventa statica, significa che si sta opponendo alla propria natura. Anche per questo motivo vediamo il KAICIID, come un'organizzazione unica nella sua struttura, che cerca di portare il mondo secolare più vicino al sacro. Non è facile. Ci sono pregiudizi. Esiste la tendenza a considerare la religione come un "problema" da risolvere e non come parte della soluzione. Ma la storia insegna il contrario.

Il Patriarcato Ecumenico, nel suo lungo corso storico, ha imparato a sopravvivere e a servire in condizioni avverse. Questa esperienza è preziosa. È un'esperienza di "riconciliazione". La missione della Chiesa nel mondo mira esattamente alla realizzazione di questo grande scambio. Giudizio e conciliazione, redenzione e salvezza, definiscono la nostra prospettiva escatologica, ma anche la dinamica della nostra presenza nei forum internazionali. Questa energia è sempre aperta anche verso il futuro. Papa Francesco parlò di una "diplomazia della speranza". La parola speranza nel Nuovo Testamento è ricca di idee escatologiche. Non è un vago ottimismo. È certezza. Chiunque ascolti questa predicazione di speranza vi trova anche l'invito all'azione. Perché la speranza senza opere è morta (Giacomo 2:26). In questo contesto, la nostra cooperazione con il Consiglio dei Leader Musulmani Europei (EuLeMa) e con il Vaticano assume un peso particolare.

Dobbiamo guardare negli occhi la realtà. Il nostro mondo è frammentato. Le ideologie dividono. Il gnosticismo della nostra epoca, con il senso di distanziamento elitario dai problemi delle persone semplici, crea nuovi scismi. La Chiesa, accettando l'unità del genere umano, reagisce certamente con vigore a tutte queste tendenze all'isolamento. Nel suo spirito l'intera creazione è buona e Dio ama l'uomo indipendentemente da etnie o religione. Questa è una fede con coerenza e continuità storica.

In particolare, vorrei soffermarmi sul ruolo delle donne e dei giovani. La tradizione della Chiesa non è una realtà del passato che esclude. È una questione del presente. I giovani di oggi vedono l'ipocrisia. Vedono leader parlare di pace e preparare la guerra. La diplomazia religiosa ha dovere di dare spazio alla voce dei giovani, non come elemento decorativo, ma come forza sostanziale di rinnovamento. Così come le donne, che spesso sono le prime vittime dei conflitti, possono e devono diventare agenti primarie di pacificazione. Si percepisce facilmente quanto sia necessario un riesame delle nostre posizioni e percezioni. La necessità di ricercare una "lingua comune" nella diplomazia è già stata ben compresa da tutti noi. Il Patriarcato Ecumenico ha evidenziato anche la dimensione ecologica della crisi. Il cambiamento climatico è esso stesso causa di guerre e di rifugiati. La protezione della creazione è un atto diplomatico. È un atto d'amore.

Non dobbiamo dimenticare che, fin dai primi secoli del Cristianesimo, la Chiesa si è trovata a confrontarsi con il potere temporale. Ha subìto persecuzioni. Ma non ha mai smesso di interloquire. L'indifferenza verso le questioni comuni non è una posizione cristiana. L'apostolo Paolo vuole che i credenti siano "liberi da ogni preoccupazione" (1 Corinzi 7:32), ma non indifferenti. La cura della pace è un comandamento.

Oggi, la tecnologia e la globalizzazione hanno portato il "vicino" molto vicino a noi, ma allo stesso tempo anche molto lontano da noi dal punto di vista psicologico. La diplomazia delle religioni viene a colmare questo vuoto. Per parlare al cuore. Per ricordarci che l'"altro" non è un nemico, ma un'immagine di Dio. Questa antropologia teologica è la nostra base di partenza.

È necessario uno sforzo costantemente guidato verso una cooperazione tra i corpi religiosi e politici. Senza paura. La distinzione tra secolare e sacro esiste, ma non deve diventare un abisso incolmabile. La storia insegna che ogni volta che la religione è stata strumentalizzata per scopi politici, i risultati si sono rivelati catastrofici. Ogni volta che la politica ha cercato la saggezza della religione con rispetto, c'è stato progresso. È indicativo che oggi, nonostante la secolarizzazione, la voce dei leader religiosi abbia peso. Non di potere, ma di prestigio. Il prestigio morale è ciò che manca nella diplomazia moderna. E questo vuoto siamo chiamati a colmare. Con umiltà. Con consapevolezza dei nostri limiti, ma anche delle nostre possibilità. Il nostro incontro qui a Roma, in vista del Giubileo, è un'opportunità. Un'opportunità per riaffermare che la speranza non è un lusso. È un bisogno di sopravvivenza. Il Nuovo Testamento vede la storia attraverso il prisma dell’escatologia, ma ciò non annulla la responsabilità storica. Al contrario, la intensifica. Perché saremo giudicati per ciò che abbiamo fatto "a uno dei più piccoli di questi" (Matteo 25:40).

Non illudiamoci. I problemi sono enormi. Ma la nostra fede è più grande. La cooperazione del KAICIID con il Vaticano e gli altri organismi è un segno dei tempi. Un segno positivo. La Chiesa Ortodossa, attraverso il Patriarcato Ecumenico, continuerà a essere presente. Continuerà a testimoniare la verità dell'amore e della riconciliazione. Auguro che i lavori di questa conferenza si dimostrino fruttuosi. Che non ci fermiamo alle parole. La teoria è facile. La pratica è difficile. Ma è lì che la nostra verità viene giudicata. Nella messa in opera. Nella mano che tendiamo a qualcuno di un'altra religione, al rifugiato, al nemico.

Questa è la nostra diplomazia. Una diplomazia del cuore, una diplomazia dello Spirito. E crediamo che abbia un futuro. Perché si basa sulla verità dell'uomo. E l'uomo, nonostante le sue cadute, rimane ricettivo alla grazia. Rimane assetato di pace. A servire questa sete siamo chiamati nel nostro ministero. Grazie.

Sua Eminenza Metropolita Emmanuel Adamakis

Sua Eminenza Metropolita Emmanuel Adamakis

Metropolita anziano di Calcedonia, Metropolita di Francia, Esarca del Patriarcato Ecumenico. Presidente della Conferenza delle Chiese Europee (CEC) e dell’Assemblea dei Vescovi Ortodossi di Francia, copresidente della Conferenza Mondiale delle Religioni. Eletto Metropolita anziano di Calcedonia nel 2021, ha precedentemente ricoperto l’incarico di Metropolita di Francia ed Esarca del Patriarcato Ecumenico dal 2003. Ha guidato importanti iniziative di dialogo interreligioso come Presidente della Conferenza delle Chiese Europee e copresidente di Religions for Peace. Già direttore dell’Ufficio di collegamento dell’Ortodossia presso l’Unione europea, promuove il dialogo con l’ebraismo e l’islam, favorendo la pace e la comprensione tra le fedi.