Riscoprire una ragione che va oltre sé stessa per arginare la crisi intellettuale

Riscoprire una ragione che va oltre sé stessa per arginare la crisi intellettuale

Gli insegnamenti sempre attuali del grande imam di Samarcanda Abu Mansur Maturidi (870–944, uno dei pilastri della teologia islamica) offrono un esempio concreto di come in tempi di crisi intellettuale sia necessario rivolgersi ai sapienti quali custodi di una scienza dell’adattamento dei principi spirituali alle sfide di ogni epoca, ricorrenti in forme diverse, ma che spesso hanno la stessa radice.

Ad esempio, nel suo kitab al-tawhid (il libro dell’Unità) l’imam ci aiuta a smascherare chi si nasconde dietro un “puritanesimo” che vorrebbe preservare Dio da ogni pericolo di antropomorfismo in quanto sarebbe “solo metafisico e trascendente”. Anche oggi nel XXI secolo – come allora alcuni razionalisti muta’ziliti con i quali l’imam Maturidi discuteva – c’è chi vorrebbe negare l’influenza reale delle Qualità di Dio nel mondo per proteggere una presunta purezza dell’idea di Dio: una nobile intenzione che rischia però di essere una questione del tutto personale e scadere così in un agnosticismo di fatto. Anche oggi, soprattutto in Occidente, c’è chi con questo apparente buon proposito finisce per sminuire l’importanza dei riti e delle azioni religiose, che ne sono il prolungamento, negando di fatto una reale e costante possibilità di comunicazione con Dio.

Afferma l’imam in tal senso che “nel caso degli Attributi di Parola, Azione e Potere di Dio è necessario accettare questi attributi e al tempo stesso negare ogni similarità tra Dio e qualsiasi cosa”. Kitab al-Tawhid, trans. by Sulaiman Ahmed, Maturidi Publications 2019, p. 157 Questo metodo perseguito dalla scuola maturidiyya, e con poche differenze anche dall’imam al-Ash’ari (altro pilastro della sapienza islamica), nella ricerca costante del giusto mezzo tra ‘aql e naql, intelletto e tradizione scritta (Corano e sunna), permette ancora oggi di rispondere intellettualmente e interiormente ai pericoli di un formalismo che in realtà nasconde una concentrazione su sé stessi e non più su Dio nella Sua dinamica di costante azione in noi e fuori di noi.

Interessante a questo riguardo è il capitolo nel Libro dell’Unità dedicato alla possibilità della visione di Dio (ruʾyat Allāh), dove il maestro fa in un certo senso “dialogare” il profeta Mosè, ricordando la sua richiesta di vedere Dio in vita, e il Profeta Muhammad quando affermava: “Voi vedrete il Vostro Signore nel Giorno del Giudizio come vedrete la luna e non avrete alcuna difficoltà in questa visione”. Inoltre, alla domanda “hai visto Allah?”, il Profeta rispondeva: “Tramite il mio cuore”. Ibi, p. 160 L’imam Maturidi spiega allora come, se in vita non sia certo possibile vedere Dio, il fedele riceva comunque un beneficio dallo sforzo di aprirsi alla comprensione di questa visione certa che lo aspetterà dopo la morte. E similmente a come la visione del cuore del Profeta Muhammad è un tipo di visione diversa dalla nostra e non eguagliabile, anche la visione di Dio tramite gli occhi dei fedeli dopo la morte sarà una conoscenza superiore a quella di ogni comprensione possibile in vita, proprio come la visione degli occhi è più immediata di quella della mente in quanto “gli occhi non comprendono”. Ivi, da p. 156 a 172

Oggi si tende comunemente ad interpretare la possibilità di questa visione di Dio come soltanto “simbolica” nel senso di non davvero “reale”, mentre l’imam Maturidi sottolinea più volte come essa sia assolutamente reale, anche se del tutto diversa dalla visione delle cose del mondo; a questo riguardo propone l’esempio di come, anche durante la nostra vita, siamo certi che esistano tipi di visione diverse da quella umana, ma non per questo meno concrete, come quelle degli animali, jinn o angeli. Ivi, p. 165 “I credenti vedranno Dio nel Paradiso senza una modalità (ovvero i dettagli delle forme del mondo), perché Dio non può essere visto tramite qualità create”, in quanto “Gli sguardi non Lo comprendono (laṭudrikuhu), mentre Egli comprende (yudriku) tutti gli sguardi. Egli è il Sottile, il Beninformato” (6:103). Ivi, p. 156

Inoltre, a stregua di ulteriore esempio, l’imam ci ricorda che, se non è possibile vedere la luce, l’oscurità o l’ombra come tali, eppure non abbiamo alcun dubbio di vedere la luce, il buio o l’ombra! Ivi, p. 164. Inoltre, se per la maggiore parte degli uomini la visione del cuore non può realizzarsi in vita, l’imam Maturidi ci parla anche della possibilità di beneficiare in modo indiretto ma reale dei benefici di questa visione tramite un atto di fiducia nei profeti e nei santi, proprio come quando ci fidiamo della descrizione di un oggetto visto da qualcuno che, a differenza nostra, non ha la visuale ostacolata. Ivi, p. 167

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Questa visione certa ma senza paragoni, senza idrak (afferrare nel senso di comprendere), è dunque una visione del cuore a cui ogni fedele dovrebbe aspirare già in vita, in attesa che essa diventi realtà come descritto nel versetto “I loro volti saranno radiosi quel Giorno, guardando verso il loro Signore” (Cor. 75, 22–23). “Nulla può essere compreso (idrak) senza visione, eccetto che per Dio, per il quale la comprensione non è possibile”. “Pertanto, la possibilità della visione di Dio diventa necessaria come concessione da parte di Dio, che sarà proporzionata alle loro buone azioni. Questo significa poter vedere ciò che avevano adorato senza aver visto. È simile a una ricompensa promessa che poi si manifesta loro nel Giorno del Giudizio”. “Inoltre, nell’Aldilà, tutti acquisiranno conoscenza di Dio, e tale conoscenza sarà di una natura tale da non cessare mai. Questo tipo di conoscenza può essere ottenuto solo tramite la visione, e non attraverso il ragionamento speculativo”. Kitab p. 157

Tramite i pochi esempi citati risulta evidente come una possibilità di conoscenza sovrarazionale si possa muovere anche da una razionalità ispirata per andare oltre sé stessa, un oltre che non è il sentimentalismo o il misticismo, ma la maʿarifa, la visione certa del cuore.

Tuttavia, dovremmo anche riconoscere che il razionalismo di oggi non è nemmeno più quello del tempo dei muta’ziliti quando davano prevalenza allo ‘aql sul naql, all’uso costante dell’intelletto sul riferimento alla tradizione scritta. Il modello di ragione contemporanea è solo ormai quello delle scienze empiriche sviluppatesi in Europa da qualche secolo: la ragione è stata scissa, ridotta a mero calcolo di ciò che è misurabile e poi assunta a unico modello di razionalità, raggruppando tutto quello che non rientra in questa definizione in un insieme molto vago dove animico, mentale e spirituale sono confusi e unificati come “non razionali”.

Una rilettura dell’imam Maturidi ci aiuta allora a riscoprire una possibilità più ampia di uso della ragione, un metodo oggi perso dall’uomo ma usato all’inverso dall’Avversario, “buon teologo”, per infilare nodi nascosti e idee errate che si nascondono nelle pieghe della mentalità comune e del cosiddetto “buon senso” diffuso. Compito e funzione dei sapienti è proprio quello di portare alla luce questi nodi, scioglierli e ripristinare delle possibilità di ragionamento ispirato e conoscenza secondo il modello profetico.

Il metodo della ricerca del giusto mezzo della maturidiyya, al-ṭarīqa al-wusṭā, torna anche particolarmente prezioso nella lettura dei testi sacri, che dalla cultura occidentale moderna vengono spesso interpretati ormai solo da un punto di vista poetico, razionale, storico e addirittura scientifico, come secondo alcune correnti all’interno dell’Islam che vorrebbero dimostrare l’autenticità del Corano tramite le scoperte scientifiche moderne o calcoli matematici delle lettere e sūra, oppure dando un’esagerata importanza alle circostanze storiche della Rivelazione o alla “mentalità dell’epoca”.

Interessante a questo riguardo quando l’imam Maturidi ci parla dei versetti di difficile interpretazione, come quelli sulle qualità di Dio o le misteriose lettere isolate che sono all’inizio di alcune sūra del Corano. Dove non è possibile applicare un taʾwīl, interpretazione (ad esempio meditando sulle qualità di Potenza e Autorità a cui richiama l’immagine del Trono di Dio), si deve comunque adottare il metodo del tafwīḍ, del rispetto del mistero profondo della Rivelazione e del rimettere la conoscenza di quei versetti a Dio soltanto, per rispettare la Sua trascendenza assoluta (tanzīh). Quando non possiamo sapere il significato di alcuni versetti, afferma l’imam, “si tratta di una prova da parte di Dio, affinché realizziamo che non possiamo raggiungere un particolare significato. Si tratta di una vera lezione per coloro che vogliono sempre una risposta per ogni cosa”.

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È ancora applicabile un metodo che utilizza l’intelletto per risvegliare nell’uomo il ragionamento simbolico? Oggi questo tipo di riflessioni sembrano relegate al mondo accademico delle università, rendendole di per sé inutili e slegate dalla realtà, a differenza forse di un tempo in cui c’era una maggiore compenetrazione tra sapienza e potere temporale. La crisi intellettuale dell’epoca contemporanea può allora forse venire curata anche dalla riscoperta dei sapienti come ponte per un rinnovato dialogo tra Oriente, Asia Centrale e Occidente che non si limiti agli scambi commerciali o tecnico-scientifici, ma ci aiuti a riscoprire la vera intellettualità di questa immensa eredità comune.