Il coraggio dei portatori di pace

Il coraggio dei portatori di pace

Leggi l'articolo originale in inglese.

Oltre 40 leader religiosi ed esperti di pace provenienti dal Medio-Oriente e dall’Europa si sono riuniti a Wilton Park per discutere il ruolo e la responsabilità delle autorità religiose in tempi di guerra, atrocità e polarizzazioni.

Volker Türk, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, ha esordito ricordando che in tutto il mondo i conflitti si stanno inasprendo, l’incitamento all’odio sta aumentando e troppo spesso la religione viene manipolata per giustificare divisioni e trovare capri espiatori.

“C’è un urgente bisogno – ha dichiarato – per le autorità religiose di ogni credo di lavorare insieme per promuovere i principi universali condivisi di dignità e compassione e trasformarli in atti di solidarietà”.

Si è trattato di un invito ad agire rivolto ai presenti, molti dei quali sono stati pionieri e leader globali del dialogo interreligioso negli ultimi due decenni. Il loro lavoro, volto a promuovere la pace attraverso una maggiore comprensione dell’altro e con iniziative concrete di pratiche condivise si è bruscamente interrotto il 7 ottobre 2023 con l’attacco senza precedenti che Hamas ha rivolto oltre confine contro Israele e con il successivo bombardamento di Israele su Gaza, che ha causato sfollamenti, distruzioni e perdite di vite umane su vasta scala.

Da allora in Terra Santa, ad esempio, qualsiasi dialogo tra le fedi abramitiche è stato quasi impossibile.

Il conflitto non ha lasciato spazio all'altro, né tantomeno al dialogo interreligioso.

Ciò ha conferito un significato speciale a questo incontro a Wilton Park: per molti dei presenti, questa è stata la prima volta in cui si sono riuniti dall'ottobre 2023. In questo spazio di fiducia, si è realizzata l'opportunità di ascoltare l'altro e di iniziare a ricostruire le relazioni.

C’è stata una acuta riflessione da parte del rabbino David Rosen, Presidente internazionale di Religions for Peace che, nell'apertura della sessione pubblica, si è così espresso: “Per me, è un momento di profondo imbarazzo come rabbino, come uomo di fede ed etica, di fronte all'abissale fallimento della leadership religiosa a fronte del tentativo di fare di più per prevenire guerre, atrocità e polarizzazioni arrivando addirittura ad essere colpevole di fomentarle. Ciò è incredibilmente vergognoso se si considera che tutte le religioni predicano giustizia e rettitudine, amore e pace”.

Ha infine concluso affermando che “la mancanza di dialogo interreligioso è uno degli elementi che ha facilitato la guerra a Gaza” e ha invitato i leader religiosi a riflettere su come hanno fallito e a far sì che questo sia un momento di riorientamento, un momento per riformulare e scoprire il ruolo degli attori religiosi nel conflitto.

Ma cosa significa un momento di riorientamento?

Per il cardinale Pizzaballa il primo passo è ripensare il nostro linguaggio e il modo in cui ci riferiamo alle comunità che non sono le nostre.

“Il linguaggio dei leader religiosi - ha affermato - deve essere rispettoso dell'altro, ribaltare i discorsi d'odio e sfidare la narrazione politica della disumanizzazione dell'altro”.

In pratica, ciò significa riumanizzare il nemico e parlare a nome di tutti coloro che hanno sofferto.

Significa anche "essere presenti dove le persone soffrono, dove c'è dolore, dove c'è morte”.

C'è stato un consenso sul fatto che una delle priorità per i leader religiosi in questo momento è investire nel sostegno a coloro che sono in lutto, che sono sfollati o feriti.

Ciò potrebbe creare uno spazio per la speranza e la guarigione, accanto a cerimonie congiunte di ricordo delle vittime di violenza, che possono rappresentare un potente strumento di guarigione e riconciliazione.

Concentrarsi sulla guarigione significa anche affrontare il fatto che gran parte del conflitto latente ha le sue radici nel trauma intergenerazionale.

“Le persone ferite feriscono gli altri; le persone guarite, guariscono gli altri” - è stato detto.

Essere un pastore di guarigione richiede umiltà, onestà e coraggio.

Significa anche tracciare delle linee rosse: che si può essere d'accordo sul non essere d'accordo senza uccidersi a vicenda.

Che il dolore e la sofferenza di tutte le comunità devono essere riconosciuti. Che ogni vita è sacra.

E che essere preparati a difendere il proprio nemico richiede un “dialogo oneroso”.

Come ha detto un partecipante, “il silenzio non è un'opzione, ma essere un pacificatore significa essere sottoposto ad attacchi e isolamenti. È una posizione isolata”.

Significa assumersi rischi politici e assumersi rischi per conto di altri: ad esempio, impegnarsi in colloqui con coloro che stanno commettendo violenza e includerli anche nel processo di guarigione.

Sottoscrivere questo riorientamento significa che “il solito modo di agire” non può continuare.

È tempo di chiedere alle comunità religiose locali di farsi avanti, di sostenere “la pace in ogni ambito”, come ha detto una persona presente all’iniziativa.

Coinvolgere donne e giovani e non aspettare che siano i leader religiosi uomini a prendere l'iniziativa.

Riconoscere e sostenere i pacificatori locali che sono già impegnati nel lavoro intercomunitario. Ma quanto sono realistiche queste richieste?

È stato riconosciuto che i leader religiosi non sono in grado di cambiare le realtà politiche e che la volontà politica di porre fine al conflitto è piuttosto l’elemento necessario per dare ai leader religiosi lo spazio per contribuire.

Eppure, in questo momento di crisi, può arrivare un vero cambiamento nel modo in cui le relazioni interreligiose sono state trasformate dopo gli orrori dell'Olocausto, dopo l'11 settembre, dopo l'ascesa dell'ISIS?

I presenti a Wilton Park hanno acceso una candela per ricordare coloro che, in comunità diverse dalla propria, sono morti o stanno soffrendo oggi.

Forse è stato solo un inizio, non è stata una dichiarazione, non è stata una grande affermazione, non un programma o una politica, ma un riconoscimento che è tempo di alzarsi in piedi e fare le cose in modo diverso.

Come ha affermato il dottor Mohammed bin Abdulkarim Al-Issa, Segretario Generale della Muslim World League in una dichiarazione letta dal suo vice:

“Noi della Muslim World League, a nome delle nostre popolazioni e delle organizzazioni islamiche, invitiamo i nostri partner a ricercare la pace e a stare dalla parte giusta della storia”.