Commento all’Enciclica Fratelli Tutti

La fratellanza, regola dei credenti e delle compagnie spirituali

28/01/2021 / Abd al-Ghafur Masotti e Abd Al-Adhim Pisano

“Fratelli Tutti” è il titolo dell'ultima Enciclica di Papa Francesco, significativamente firmata ad Assisi, presso la tomba di San Francesco, il 3 ottobre 2020, alla vigilia della festa del Santo. Fin dalle prime battute, è chiaro l'intento del Papa di volerne fondare l'intero edificio proprio sull'esempio del Santo di Assisi, che “invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio”(1) e, al paragrafo intitolato “Senza Frontiere”, cita l'episodio della sua visita al Sultano al-Malik-al-Kamil in Egitto(2).

Non è questa la sede per approfondire le motivazioni che spinsero San Francesco all'incontro con il Sultano d'Egitto, il quale era legato da un “legame fraterno” con lo Shaykh Al-Akbar, “il più grande dei Maestri”, Muhyī al-Dīn Ibn ‘Arabī(3), motivazioni che probabilmente non erano solo “il sogno di una società fraterna(4)”, ma forse qualcosa di molto più profondamente legato ad una ricerca spirituale che accomunava i due uomini di fede.

In ogni caso, quello che ci interessa qui evidenziare è il chiaro ed evidente intento “universalistico” dell'Enciclica, che parte proprio dall'esempio di San Francesco, “dal cuore senza confini, capace di andare al di là delle distanze dovute all’origine, alla nazionalità, al colore o alla religione”(5).

“Fratelli tutti, scriveva San Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo”, è l'incipit dell'Enciclica, citando le sue Admonitiones. In realtà, senza nulla togliere al grande amore e altruismo che egli nutriva per il prossimo, le Admonitiones furono scritte per i fratelli del suo ordine. Quando scrive “omnes fratres”, e lo scrive innumerevoli volte, intende “omnes fratres meos praedicatores, oratores, laboratores, tam clericos quam laicos”(6), aggiungendo in alcuni casi anche “sorores”(7).

Certamente l'universalità che il Papa attribuisce a San Francesco era ben presente nel messaggio di quest’ultimo, il quale, come tutti i Santi di ogni Religione, sono “rivolti verso l'Uno”, “Unum Versus”, secondo l'etimologia del termine “Universo”. Tuttavia, sembra non si metta in giusta evidenza ciò che lo stesso Santo afferma: “Fratres enim sumus, quando facimus voluntatem Patris eius, qui est in caelo”(8).

L'analisi dei mali che affliggono l'umanità, già presente in gran parte nella Caritas in Veritate del predecessore Benedetto XVI, è giustamente fatta derivare da “una società sempre più globalizzata che ci rende vicini, ma non ci rende fratelli”(9) e da un “individualismo che non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli […] individualismo radicale che è il virus più difficile da sconfiggere.(10)

Tuttavia la soluzione proposta di una “fratellanza universale” non può essere interpretata solo “in funzione a situazioni di emergenza umanitaria come le crisi dovute ai conflitti internazionali o alla carestia e alla povertà o alle cronache di qualche attentato criminale. Se la solidarietà dovesse essere negata in queste situazioni drammatiche oppure essere dipendente soltanto da queste condizioni tragiche si rischierebbe di richiamare la fratellanza solo come soluzione a determinati problemi. [...] La fratellanza è la regola dei credenti e delle compagnie spirituali e non è l’eccezione nei confronti di un rifugiato che naufraga nel Mediterraneo”, come scrive l'Imam Yahya Pallavicini in Educazione Islamica alla Fratellanza e alla Civiltà(11).

L'affermazione dell'Imam che “la fratellanza è la regola dei credenti e delle compagnie spirituali” costituisce la chiave per comprendere il suo significato più profondo, comune a tutte le religioni, ma che qui considereremo dal punto di vista dell'ultima Rivelazione in senso temporale, l'Islam.

In arabo, il termine Banu Adam, “figli di Adamo”, è praticamente sinonimo di “genere umano”, dando quindi per implicito che siamo tutti fratelli. Questa ovvia constatazione, tuttavia, non ci deve indurre a ritenere il concetto di fratellanza nell'Islam come astratto o virtuale, tutt'altro.

Il celebre Patto di Fratellanza (mu'akhat) stipulato dal Profeta Muhammad tra i Muhajirun (emigranti da Mecca) e gli Ansar (abitanti di Medina), nel nono anno dopo l’Egira (630 d.C.), rappresenta un esempio di concreta fratellanza fra credenti, che diede luogo in seguito alla “Carta di Medina”, che sanciva uguali diritti e doveri fra le comunità presenti, comprese quelle ebree.

La concretezza del concetto di fratellanza nell'Islam è confermata anche dalla Sharia, la Legge Sacra islamica, fondata principalmente sul Corano e la Sunna, che sancisce l'esistenza di diritti e doveri (al-huquq wa al-wajibat) pertinenti ad ogni grado di fratellanza, in funzione della natura dei legami che accomuna gli esseri, dal livello metafisico a quello fisico, che come tali devono essere rispettati e protetti.

“In verità i credenti sono fratelli” è il punto fermo sulla fratellanza, sancita da Dio nel Sacro Corano(12) e, a conferma ed esplicitazione: “Certo, quelli che credono, gli Ebrei, i Sabei, i Cristiani, chiunque crede in Dio, nel Giorno ultimo e compie opera buona, nessun timore su di loro, e non verranno afflitti”(13).

Tuttavia esiste nel Sacro Corano l'espressione di una fratellanza che tenga conto anche delle differenze fra gli esseri umani, considerate come un dono e un valore; molti sono i versetti nei quali Dio si rivolge all’umanità, uomini e donne, per richiamare la loro attenzione sulla diversità nella creazione, come ad esempio: “O uomini, in verità, vi abbiamo creato da un maschio e da una femmina e abbiamo fatto di voi popoli vari e tribù, affinché vi conosceste a vicenda”(14).

Dio esprime chiaramente il motivo di queste diversità, “perché vi conosceste a vicenda”, e in questo Suo scopo troviamo due indicazioni molto importanti: un chiaro invito a sviluppare la conoscenza e ad aprirsi avvicinandosi fraternamente gli uni agli altri, conoscenza e fratellanza.

Rientra quindi nella volontà divina l’aver creato gli esseri umani diversi tra loro, invitandoli ad osservare questo segno e a riflettere sulla ricchezza di questa diversità: “Non vedi che Dio fa scendere dal cielo acqua con cui son fatti uscire frutti di colori diversi, e nelle montagne vi sono strisce bianche, rosse, di diversi colori e anche nere corvine; e in egual modo anche gli uomini, gli animali e le greggi, ve ne sono di vari colori”(15).

Vale la pena, a questo punto, soffermarci brevemente sul motto-simbolo della mentalità moderna “liberté, égalité, fraternité”, che di fatto sostituisce la religione con ideali scollegati da ogni dimensione trascendente, spianando la strada all’idolatria dei diritti umani e dell'umanesimo. Tale motto, in anticipo di molti anni sulla rivoluzione francese, era già presente presso logge massoniche e teosofiche, dove i nomi delle tre virtù teologali “Fede, Speranza, Carità” vennero associati rispettivamente ai tre termini “libertà, uguaglianza, fratellanza”(16).

La stessa Enciclica, che per alcuni aspetti sembra concedere qualche spazio a tali confusioni, afferma: “La fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza. Che cosa accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori?”(17).

Occorre però fare chiarezza sulla funzione della vera fratellanza che, per non diventare ideologia, deve essere ricondotta a un principio spirituale, deve essere “regola dei credenti”; ma in che senso essa lo è anche delle compagnie spirituali? E cosa sono le compagnie spirituali?

San Francesco indirizzava ai suoi compagni ammonizioni ed esortazioni fraterne, e quella era certamente una compagnia spirituale, come d'altronde ve n'erano altre contemporanee e precedenti, di cui abbiamo perso gran parte delle coordinate sapienziali, coperte da una coltre di devozionalismo e sentimentalismo; ma c'è o c'è stato qualcosa di analogo nell'Islam?

il Tasawwuf è la via iniziatica e contemplativa nell'Islam, comunemente tradotta con “sufismo”, termine che fa riferimento agli ahl al-suffa, la “gente della panca”, un gruppo di Compagni del Profeta tra più poveri che avevano trovato rifugio in un angolo della prima moschea di Medina, vicino alla casa del Profeta stesso. Trascorrevano il loro tempo in preghiera, meditazione e compagnia del Profeta, beneficiando del suo insegnamento spirituale più profondo. In questa prima “compagnia spirituale” ci furono i Compagni della panca come Abu Hurayra, Bilal, Salman al-Farisi, ai quali si possono aggiungere altri Compagni molto vicini, Abū Bakr, ‘Umar, ‘Uthmān e ‘Alī, che sarebbero diventati i “califfi ben guidati”.

Anche nel Tasawwuf, l’inizio di questo percorso, che rappresenta nel senso letterale una “iniziazione” è rappresentato da un patto di fratellanza, ma interiore, stretto dai Compagni con il Profeta Muhammad in occasione della sosta ad al-Hudaybiya e da allora rinnovato ininterrottamente da maestro a discepolo fino ad oggi.

Molti dei maestri che da allora hanno mantenuto viva la catena di ritrasmissione sapienziale, ci hanno lasciato testimonianze scritte, ammonizioni ed esortazioni per la via di realizzazione spirituale, che non può fare a meno della fratellanza; le citazioni che seguono derivano tutte da una medesima fonte sapienziale che, nella sua attuazione, si rivela pressoché inesauribile a causa dei molteplici e necessari adattamenti alle varie possibilità e possono aiutarci a capire che la fratellanza di una compagnia spirituale è un metodo per il superamento delle barriere limitative che determinano un «io» per opposizione agli «altri», tramite la progressiva rinuncia alle limitazioni derivanti dall’autonomia individuale.

«Se non fosse stato per la compagnia delle buone persone (al-akhyar) e per le conversazioni intime con Dio che avvengono nel tempo prima dell’alba, non avrei amato la permanenza in questo mondo. Per quanto mi riguarda, niente è pari all’incontrare i compagni retti»(18).

«È un procedimento della nobiltà d'animo (futuwwa) quello di ottenere l’amore di Dio facendosi amare dai Suoi intimi (awliya’). Abu Yazid al-Bistami, a un uomo che gli chiedeva: “Indicami un’azione con cui possa avvicinarmi a Dio”, rispose: “Ama gli amici di Dio e conquistati il loro affetto, cosicché anch’essi ti amino; Dio guarda nel cuore dei Suoi intimi ogni giorno e ogni notte settanta volte, cosicché può darsi che scorga il tuo nome nel cuore di un Suo amico intimo e che per questo ti ami e ti perdoni»(19).

«Musayyb ben Wadih disse un giorno: “Un fratello a cui tu dica: “Vieni”, che risponda: “Dove?” non è un vero fratello”»(20).

«È tipico della nobiltà d'animo rallegrarsi quando si incontrano i fratelli. Ismail ben Abu Umayya ha detto: “L'incontro con i fratelli, anche se breve, dà molto”. Ibn al-Mubarak, che Allah gli usi misericordia, ha detto: “L'incontro con i fratelli è un aiuto per la propria via (din) e un sollievo dalle preoccupazioni”. Sufyan at-Thawri, che Allah gli faccia misericordia, ha detto: “Nel mondo non mi resta nulla di piacevole oltre all'incontro dei fratelli»(21).

«I fratelli che appartengono alle genti del timore (ahl al-taqwa) sono un'immensa grazia fra le grazie concesse da Dio al Suo servo»(22).

«Quando vedi il tuo cuore allontanarsi dall’essere cordiale verso le Genti di Dio, ebbene sappi che sei stato escluso dalla Porta di Dio»(23).

«Se hai visto in tuo fratello un difetto, sappi che quel difetto esiste anche in te. Il saggio non è diverso da uno specchio: quel che vedi in lui è la tua propria immagine, dato che il credente è lo specchio del credente»(24).

«Chiunque aspiri a perfezionare la sua fede e ad avere una buona opinione di sé dovrebbe accompagnarsi alle Genti di Dio»(25).

«L’amicizia obbliga alla sincerità, sia esteriore sia interiore, secondo la massima: “Quando siete in compagnia dei Sûfî, siatelo con sincerità, perché essi sono le spie dei cuori. Essi entrano ed escono dai vostri cuori in modo per voi imprevedibile”. In effetti, tu sei lo specchio dei tuoi fratelli: essi vedono in questo specchio ciò che è nascosto in profondità […] La nobiltà del carattere è tutto il Tasawwuf. Essa presuppone la rinuncia al desiderio di comandare, la rinuncia all’ostentazione e agli onori. Chi è sulla Via non dovrà vantarsi di essere superiore ai suoi fratelli per la scienza, per la conoscenza o per gli stati spirituali, ma rifletterà piuttosto sulla lentezza con cui sbarazza la propria anima dalle passioni e con cui procede alla ricerca di quello che può accontentare i suoi fratelli»(26).

L'interesse principale del credente musulmano è la realizzazione della pace interiore ed esteriore, frutto di una coltivazione di rapporti fraterni fra credenti e, soprattutto in questi tempi di crisi, quando le moderne ideologie si formano in alternativa alla religione, diventa sempre più importante e urgente coordinarsi e incentivare la cultura della vera fratellanza, anche per proteggere l'autenticità del sacro dalla sua parodia.

“Quale via sarebbe perfetta senza compagni?”, chiese un giorno il maestro Abd al-Qadir al Jilani(27) ai suoi discepoli, invitandoli ad estinguere l’individualismo, l’isolamento, la solitudine, a scoprire il beneficio della compagnia spirituale, della fratellanza, dell’ospitalità tradizionale, come mezzi per avanzare nella via della perfezione. Tutti sinonimi di coesione e dialogo all’interno e all’esterno della propria comunità d’appartenenza, ma affinché diventino veramente utili, il maestro ci insegna a qualificare queste azioni e questi strumenti con la sincerità, qualità spirituale che permette a ogni credente di ritrovare la coesione interiore e il conforto prezioso del dialogo con i compagni: solo così si realizza un’armonia sociale e un’affinità intima con i segni e i simboli della Rivelazione di Dio.

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