Commento all’Enciclica Fratelli Tutti

Crisi dell’Occidente e apporto dell’Oriente

18/02/2021 / Yahya Zanolo e Abd al-Razzaq Bergia

“I testi religiosi classici possono offrire un significato destinato a tutte le epoche, ma di fatto vengono disprezzati per la ristrettezza di visione dei razionalismi”. “Tra le più importanti cause della crisi del mondo moderno” vi è “il predominio dell’individualismo e delle filosofie materialistiche che divinizzano l’uomo”(1).

Nell’enciclica Fratelli tutti, da cui sono tratte queste citazioni, papa Francesco vede anche la virtualità come una delle conseguenze della diffusione a livello globale del razionalismo, individualismo e materialismo. “Prigionieri della virtualità, abbiamo perso il gusto e il sapore della realtà. Così, la libertà diventa un’illusione che ci viene venduta e che si confonde con la libertà di navigare davanti a uno schermo”(2).

Già un secolo fa, nel 1927, René Guénon identificava queste ideologie come alla base della “Crisi del mondo moderno”, predicendo anche il predominio della virtualità come conseguenza del razionalismo. Questa filosofia aveva prodotto per secoli la solidificazione del “Regno della quantità”, riducendo sempre di più il naturale fluire di ogni spiritualità autentica fino alla conseguente “dissoluzione”, che oggi riconosciamo appunto nel “regno della virtualità”(3).

Ma se dopo un secolo le cose non sono che peggiorate, è forse legittimo chiedersi: che utilità può avere una razionale consapevolezza della crisi e delle sue cause, se poi le soluzioni proposte sono “peggiori della malattia stessa” in quanto, anche se inconsapevolmente, nascono dallo stesso virus?

Ad esempio, l’uomo occidentale dovrebbe forse provare un “senso di colpa” per aver creato la povertà nel resto del mondo? Dovrebbe anzitutto andare a fondo di questo sentimento, che sia “conscio” o “inconscio”, e sublimarlo realizzando così una maggiore fratellanza nei confronti dell’umanità tutta? È molto difficile trovare qualcuno che sia in grado di contraddire questi ragionamenti di carattere psicanalitico. Potere dell’inconscio, lapsus freudiano, inconscio collettivo, pulsioni animali alla base di ogni comportamento umano: sono tutti ormai concetti difficilmente criticabili perché divenuti parte del dire comune, nonostante siano frutto di teorie sorte meno di due secoli fa in radicale contrasto con le psicologie tradizionali applicate per millenni da tutte le civiltà. Solo la filosofia moderna occidentale ha infatti definito l’uomo come un aggregato duale di anima e corpo, senza spirito, e non è un caso che proprio questi stessi filosofi fossero appassionati razionalisti.

Ma il punto non è in alcun modo entrare nel dettaglio di cosa sia la psicanalisi, né tantomeno di quanto possa essere “utile”, come del resto possono essere “utili” anche tutti i derivati tecnologici della scienza moderna. L’evidenza da scorgere è invece il filo rosso che lega indissolubilmente tutte queste teorie, psicanalisi, filosofie, scienze, che poggiano le fondamenta sulla negazione di alcuni presupposti che invece erano alla base di ogni scienza sacra di civiltà passate: Dio e la Sua influenza trascendente e immanente in ogni aspetto della vita di ogni uomo e donna, la scienza sacra di gestione della gerarchia dei mondi e degli “stati molteplici”, dal mondo materiale a quello sottile (di cui fa parte quello animico), nella sua netta e fondamentale distinzione dal dominio spirituale, che è dunque quanto di più lontano possa esservi da ogni dimensione inferiore o “subconscia”.

Un’altra delle conseguenze di questo unico grande tsunami rivoluzionario iniziato alcuni secoli fa in Occidente è la sociologia delle religioni, che per la prima volta ha trasformato le religioni in un oggetto di studio, in un “fenomeno sociale” tra i tanti, creando così un attacco a tenaglia sulla religione: già assediata dal razionalismo, viene così lasciata in vita come un semplice rimedio ai mali dell’anima, tra i tanti possibili che l’uomo può scegliere al supermercato moderno della spiritualità. Dalla sociologia della religione è facile così passare ad una pseudo religione della società, che come ogni nuova religione deve avere anzitutto i suoi principi e dogmi.

I diritti umani appaiono ben 95 volte nell’enciclica Fratelli tutti, dove diversi capitoli parlano di “Diritti umani non sufficientemente universali”(4) e si cita più volte la Carta delle Nazioni Unite come “vera norma giuridica fondamentale e punto di riferimento obbligatorio di giustizia e un veicolo di pace”(5).
È forse utile ricordare come la Carta delle Nazioni Unite, così come la subito successiva Dichiarazione Universale dei Diritti umani, sempre del 1948, dichiara fin dalle prime righe del primo articolo che tutti gli uomini “sono dotati di ragione e di coscienza”, ed è il frutto di un lavoro che sviluppa l’eredità di documenti precedenti quali la Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino stesa nel 1789 durante la Rivoluzione francese.
È superfluo evidenziare come i redattori di questi documenti, che rappresentano oggi dei veri e propri “testi sacri”, non si basavano certo su principi religiosi e tradizionali, ma davano invece come assodate le teorie filosofiche che abbiamo citato più sopra.
Ma per uomini e donne religiose, accanto ai diritti umani, non dovrebbero esserci come minimo anche i doveri divini, aspetti che non possono essere messi sullo stesso piano? Vi è infatti una radicale asimmetria tra ogni testo sacro di origine divina e qualsiasi documento scritto dall’uomo sulla base di buone, se non ingenue, intenzioni, secondo le contingenze del momento storico.

Come affermato da René Guénon alla fine del suo La Crisi del mondo moderno, “accade spesso che quelli che credono di essere sfuggiti al materialismo moderno siano captati da cose che, pur sembrando opporsi ad esso, in realtà sono dello stesso ordine”(6).
Mentre in Oriente e Occidente del 1924 scriveva:

Razionalismo o intuizionismo, positivismo o pragmatismo, materialismo o spiritualismo, scientismo o moralismo, sono tutte cose che dal nostro punto di vista si equivalgono esattamente; passando dall’una all’altra non si guadagna nulla, e finché non ci si sarà completamente liberati da tutto ciò, non si sarà compiuto neppure un passo nel dominio della vera intellettualità(7).

Tornando all’enciclica, in un passaggio interessante papa Francesco afferma che

l’Occidente potrebbe trovare nella civiltà dell’Oriente rimedi per alcune sue malattie spirituali e religiose causate dal dominio del materialismo. E l’Oriente potrebbe trovare nella civiltà dell’Occidente tanti elementi che possono aiutarlo a salvarsi dalla debolezza, dalla divisione, dal conflitto e dal declino scientifico, tecnico e culturale(8).

A tale proposito sempre René Guénon sosteneva tre possibili ipotesi di uscita dalla crisi, per l’Occidente, grazie alla costituzione di un élite spirituale, nel senso di quegli eletti descritti da testi sacri come il Vangelo: “molti saranno i chiamati, ma pochi gli eletti”.
Guénon partiva dal presupposto che, almeno nel 1927, non esistesse più da secoli in Occidente un’organizzazione iniziatica ortodossa normalmente inserita e protetta all’interno di una religione, come lo era stato nel caso dell’Ordine del Tempio, i templari, fatti scomparire dalla stessa Chiesa Cattolica all’inizio del XIV secolo.
La finalità di una rinnovata élite in Occidente sarebbe quella di “preparare il mutamento”, ovvero la necessaria fine del ciclo della civiltà attuale, “in modo che esso si svolga nelle condizioni più favorevoli e che il perturbamento sia ridotto al minimo” e, inoltre, “contribuire a conservare quel che deve sopravvivere al mondo presente e servire all’organizzazione del mondo futuro”(9).

Secondo la prima ipotesi, l’élite potrebbe nascere “per un’iniziativa propriamente occidentale” dove l’Occidente “trovi in sé stesso i mezzi, con un ritorno diretto alla sua propria tradizione”. Tuttavia, vista l’inesistenza di un’organizzazione “in cui lo spirito tradizionale si sia conservato integralmente”(10), Guénon non vedeva come facilmente realizzabile questa prima possibilità, lasciando invece più probabilità ad una seconda ipotesi, secondo la quale l’ultima “organizzazione di carattere tradizionale” in Occidente, ovvero la Chiesa Cattolica, possa ritrovare i principi metafisici nella propria dottrina e ripristinare integralmente una prospettiva tradizionale.

Affinchè questo ripristino si realizzi, un secolo fa Guénon concepiva come imprescindibile un aiuto dall’Oriente, ma non in senso generico, bensì inteso come un apporto dalle élite iniziatiche ancora in esso presenti:

Di fronte all’aggravarsi di un disordine che sempre più si generalizza, bisogna fare appello all’unità di tutte le forze spirituali […], in Oriente come in Occidente. [...] Per questo motivo, sempre seguendo la seconda ipotesi, questa intesa tra Oriente e Occidente cattolico non dovrà essere semplicemente esteriore e diplomatica bensì in funzione dei principi. La vera intesa può compiersi solo dall’alto e dall’interno, nel dominio che può venire chiamato indifferentemente intellettuale o spirituale, avendo i due termini in fondo esattamente lo stesso senso(11).

Tuttavia, il maggiore ostacolo a questa seconda opzione era secondo Guénon “il proselitismo occidentale, che non può decidersi ad ammettere che talvolta si ha bisogno di alleati che non siano dei sudditi”. Per questo motivo rimarrebbe una terza ipotesi, seguendo la quale la nascente élite “dovrà contare solo sugli sforzi di coloro che saranno qualificati a tanto per la loro capacità intellettuale al di fuori di ogni ambiente definito”, come lo è ad esempio la Chiesa Cattolica, “e naturalmente si dovrà contare anche sull’aiuto dell’Oriente”(12).

A un secolo da queste parole, siamo ancora in grado di interpretare un apporto aggiornato dell’Oriente alla crisi dell’Occidente? Il dialogo con le autorità del mondo orientale, come accade ad esempio tra papa Francesco e l’imam Ahmad Al Tayyeb in questa enciclica, potrebbe aiutare l’Occidente a creare un ambiente più favorevole all’accettazione di un aiuto dall’Oriente, fosse anche per mano di organizzazioni iniziatiche che operino nuovamente in Occidente secondo una forma religiosa diversa da quella maggioritaria?

In questa prospettiva, anche il dialogo interreligioso potrà evitare il rischio di divenire “solo esteriore e diplomatico” e nemmeno solamente pragmatico e sociale, seppure anche questo livello possa offrire benefici. Favorire una coesistenza pacifica dei musulmani in Occidente e una comprensione maggiore dell’Islam potrebbe forse aiutare l’azione di un’eventuale élite, oltre che a favorire “quella che i teologi chiamano la discriminazione degli spiriti ed arginare l’influenza di quelle che oggi troppo spesso sono delle guide cieche”(13).

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